Lorca

Sono qui che parlo con Jose Ramon, mentre aspetto che si liberi il bagno del mio piano per fare una doccia. Jose Ramon sta cucinando un guanciale arrosto con patate. L’odore è buono, ma io non lo assaggerò: ho ordinato prosciutto e melone e spaghetti alla bolognesa (sic).

In stanza sono con Giuseppe. Non credo si chiami davvero così, gli altri italiani lo chiamano Giuseppe, ma è del Michigan e fa l’infermiere. Viaggia con un amico dominicano.

Ci sono altri italiani, un ragazzo vicentino e due signore milanesi.

L’ albergue è piccolo, ospita 12 persone in 3 stanze. Jose Ramon e sua moglie, giapponese credo, gestiscono e cucinano. Bene, tra l’altro. Il ragù alla bolognese non era male e gli spaghetti cotti al dente. L’unica cosa poco da ristorante italiano era la quantità: porzioni da almeno due etti e mezzo. Mangiati tutti.

Il viaggio

Siamo partiti abbastanza presto da Uterga. Pioveva, e ha continuato tutto il giorno, fin verso le tre. Ma ormai all’acqua e al fango per terra sono abituato.

Siamo arrivati in un attimo a Puente La Reina, una cittadina più grande dei paesini incontrati fin qui, e molto caruccia. Con un bel ponte del XI secolo sul Rio Arga, lo stesso che arriva a Pamplona.

Abbiamo incrociato diverse persone viste nei giorni scorsi. Quelli che avevano già fatto il cammino, diversi lo fanno più volte, si sono diretti senza esitazione verso una particolare panetteria con fama di essere molto buona.

Abbiamo ripetuto la colazione ( la prima, inclusa nel costo dell’albergue di Uterga era più che altro simbolica), comunque sì, oggi ho mangiato parecchio.

Il cammino da Uterga a Lorna è splendido.

Siamo passati, ad un certo punto, in un posto in cui un ragazzo, dall’aria mezzo fatta, ha allestito un punto di ristoro per i pellegrini. Panchine, tavolini, tavolino con frutta, caffè caldo, bibite varie. Tutto disponibile per chiunque passi. Chiede un offerta.

Prima di Lorca diversi villaggi fantasmi. Ben tenuti ma non si vede nessuno per strada.

ritmi

É sorprendente la velocità a cui ci si abitua a ritmi nuovi , anche molto diversi da quelli abituali. Le gambe ormai ritengono normale camminare per diverse ore al giorno, non si lamentano più di tanto. Il disordine implicito del viaggiare con la roba in uno zaino assume piano piano qualche contorno di razionalità. I varipezzi cominciano ad avere un proprio posto e li ritrovo facilmente.

Le abitudini mattutine e serali, la serie di gesti che fai arrivato all’ albergue e quando ti prepari a ripartire, diventano la nuova normalità.

paesaggi

Una delle cose più belle sono i paesaggi. Credo che le foto, almeno le mie, non riescano a rendere l’idea. Questo continuo saliscendi tra le colline li crea continuamente. La camminata è un film di belle immagini. Forse il tempo instabile di questi giorni li rende ancora più belli.

foto

Molti paesini si ingegnano a segnalare il Camino mentre li attraversi. A Òbanos usano queste conchiglie per terra.
Molti paesini si ingegnano a segnalare il Camino mentre li attraversi. A Òbanos usano queste conchiglie per terra.
Un albergue su un albero a Puente La Reina
Un albergue su un albero a Puente La Reina
Il campanile di una chiesa a Puente La Reina. Davanti all’alberello di sinistra c’è una cicogna.
Il campanile di una chiesa a Puente La Reina. Davanti all’alberello di sinistra c’è una cicogna.
Il ponte della regina
Il ponte della regina
679 km a Santiago
679 km a Santiago
Nel mezzo del Camino
Nel mezzo del Camino
Lumaca in cammino
Lumaca in cammino
Grossi oggi era una sequenza di passaggi così, una collina dietro l’altra.
Grossi oggi era una sequenza di passaggi così, una collina dietro l’altra.

Uterga (I cheated)

Oggi doveva essere la giornata di tranquillo riposo. Quella in cui si gira per Pamplona e si dorme nelle vicinanze, alla fine non è andata così.

pinchos

Il giro per Pamplona l’abbiamo fatto. Sono ancora con Connie, la danese. Ormai mi sa che, se non bisticciamo prima, arriviamo a Santiago insieme.

Siamo andati all’ufficio del turismo a chiedere cartine e informazioni su cosa vedere, ma non sembravano molto entusiasti di nessuna cosa da farci vedere, per cui abbiamo girato alacaz, nella città comunque.

Abbiamo trovato un ufficio postale in cui ho spedito a casa qualche indumento che avevo di troppo, spero di non pentirmene: sui monti più avanti sta nevicando, ma per quando ci arrivo io dovrebbe essere un po’ più caldo, e, in ogni caso più di tante cose addosso uno non si può mettere.

Lo zaino si è alleggerito di un chilo e mezzo, ed è già un’altra cosa.

Abbiamo mangiato i pinchos, che sono come le tapas, ma un po’ più grandi.

Alla fine abbiamo deciso che potevamo anche farci quattro chilometri di Camino e dormire a Cizuz Menor, che è tipo il Grugliasco di Pamplona.

il Camino in Pamplona

Seguire il Camino dentro la città è molto bello. Tutto il percorso è segnato con questi dischetti metallici con su il simbolo del Camino attaccati al terreno. Non ci si dovrebbe poter perdere. Io ci riesco. Ogni tanto devo usare l’app Camino Ninja per ritrovare i cerchietti.

Si attraversa una serie di parchi molto belli e quasi tutti quelli che incontri ti dicono “Buen Camino”. Il pellegrino turista è visto qui come qualcosa di normale, ma anche degno di rispetto. Ti guardano con quella faccia da “un giorno lo faccio anch’io”.

Sono passato davanti a un cane che abbaiava ferocemente nella mia direzione e la ragazza che c’era attaccata cercava di calmarlo chiamandolo “Nala”. Le ho detto che ho avuto anch’io un cane con quel nome e me l’ha portato vicino per accarezzarlo. Dopo le coccole, mentre mi allontanavo, ha ri-iniziato ad abbaiare.

Cizuz Menor

Ci siamo arrivati tutto sommato abbastanza facilmente. A un certo punto i cerchietti magici finiscono e capisci che sei fuori dalla città.

Comunque c’è da salire e si arriva piuttosto stanchi, per cui quando ho telefonato a uno dei due albergue del posto e la tipa mi ha detto che in questa stagione lì era tutto chiuso ci è venuto un briciolo di depressione.

Il posto più vicino in cui trovare un altro albergue era Utrega, a 12 km di distanza, con un’altura di 800 metri in mezzo. Insomma tre o quattro ore di camminata. Erano le tre del pomeriggio e non ce la sentivamo.

Le opzioni erano dormire sotto il portico di una chiesa (stanotte piove) o chiamare un taxi. La Connie preteriva la prima opzione, così siamo andati a vedere da vicino l’unica chiesa del paesino. Il portico era circondato da una cancellata chiusa a chiave. Mi sa che qui non amano molto i barboni e i pellegrini poco turistici.

Intanto sono arrivate due ragazze tedesche. Una molto efficiente, vista la situazione, ha chiamato il taxi. Mentre aspettavamo ne sono arrivate altre due, olandesi questa volta.

Alla fine abbiamo preso il taxi in 6, e ora siamo a Uterga.

Mi spiace essermi perso le statue stilizzate dei pellegrini in cima al monte, ma era lo scotto da pagare.

No, abbiamo pagato anche il taxi: 5 euro cada persona.

Uterga

Siamo all’Albergue Casa Batzán. Le due tedesche antipatichette hanno scelto l’altro albergue del paese. Le olandesi sono venute qui. Hanno solo due settimane di tempo, per cui non faranno tutto il cammino.

Posticino molto accogliente, 15 euro compresa la colazione. 5 euro per un panino a cena. C’era anche un piatto completo a 12, ma avevo ancora i pinchos sullo stomaco.

Bagni perfetti, due lavatrici e una asciugatrice. 5 euro per usare entrambe. E senza code.

Può ospitare 24 persone. Ora è quasi pieno e ho visto solo altri due uomini. Il Camino sembra davvero una cosa da donne.

foto

Una statua dedicata a Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti. Avendo fatto la prima elementare da loro mi ha toccato vederla.
Una statua dedicata a Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti. Avendo fatto la prima elementare da loro mi ha toccato vederla.
Una fontana in una piazza a Pamplona
Una fontana in una piazza a Pamplona
Un campo di colza appena fuori Pamplona
Un campo di colza appena fuori Pamplona
Un pincho con crema di asparagi, un uovo che ci bala dentro ricoperto di cipolle e pancetta. Buonissimo.
Un pincho con crema di asparagi, un uovo che ci balla dentro ricoperto di cipolle e pancetta. Buonissimo.
Le ragazze che salgono sul taxi
Le ragazze che salgono sul taxi
Il giardinetto dell‘albergue
Il giardinetto dell‘albergue
Il dormitorio
Il dormitorio

Pamplona

Sono arrivato a Pamplona stanco morto e coi polpaccio doloranti.

percorso

Stradine piene di fango, anche se oggi il tempo era bello. In teoria doveva essere una tappa facile, solo 21 km. Ma sono tutti un saliscendi con pendenze spesso decise, e strade, spesso, molto accidentate. Non faccio più di 3 km all’ora. Tra cibo e riposini vari sono arrivato alle 6:30. Ma sono partito molto tardi: stamattina mi sono accorto che i calzini che avevo lavato e asciugato ieri erano ancora bagnati, per cui ho dovuto fare un altro giro di coda asciugatrice (oltre a cacciare altri 3 euro).

A parte la stanchezza tutto molto bello. Il cammino tra Zubiri e Pamplona scorre lungo un fiume gonfio d’acqua, tra boschi e colline molto beli.

I pochi paesini che si attraversano sembrano città fantasma, non si vede quasi anima viva e le case sono tutte sprangate.

A Larrasoana, che è circa a metà del percorso è segnato sulle guide un posto per mangiare, oltre a vari per dormire, ma era tutto chiuso.

Pamplona

Si entra nella grande città quasi senza accorgersene. Il nome è quello di un’ altra località, ma siamo chiaramente in un quartiere periferico di Pamplona. In mezzo a un parco c’è un albergue municipal con scritto completo, ma sembra più che altro chiuso. Chiedo spiegazioni al bar di fianco e una ragazza decisamente ubriaca mi parla di una grande festa.

Gli albergue veri sono più in là, nel centro racchiuso dalle mura di una fortificazione antica.

Quello in cui sono finito è un’altra struttura enorme. Può ospitare 122 persone e credo sia quasi pieno. É realizzato all’interno di quella che sembra essere una vecchia chiesa (l’albergo si chiama Iglesia de Jesùs e Maria).

I compagni di bugigattolo sono una coppia di portoricani e uno spagnolo, di Burgos, che domani va da qui a Roncisvalle in bus per iniziare il cammino.

pellegrini

Sono diversi giorni che incrocio lo stesso insieme di persone lungo la strada. Mi sorpassano, si fermano più avanti e li supero io. In genere sono brevi saluti. “Hola”, “Buen Camino”. Ogni tanto si fanno due chiacchiere più lunghe. Oggi una coppia di australiani mi raccontava che lei (ha settant’anni) è la settima volta che fa il cammino francese, lui, un po’ più giovane, lo sta facendo per la quarta volta. Vengono qui, dopo aver provato diversi altri cammini in giro per il mondo perché trovano che è l’unico posto in cui puoi camminare sapendo che quando ti stanchi e vuoi fermarti a dormire troverai qualcosa a un prezzo accettabile nel raggio di pochi km.

zaino

Pesa troppo. All’ufficio del turismo di Roncisvalle risultavano 12 chili. Non è tanto la fatica di portarlo quanto l’effetto che ha sulle gambe a fine giornata. Domani devo liberarmi in qualche modo delle cose superflue.

mattino

Notte quasi insonne. La pessima approssimazione di Cesar Salad mangiata alla sera non ne voleva sapere di andare giù. Bello svegliarsi e vedere il soffitto di una chiesa.

Alle sei cominciano a suonare sveglie, ma la gente comincia ad alzarsi mezz’ora dopo.

Per le otto ti buttano fuori dall’albergue. Ora sono in Plaza de Castillo, l’unico posto abbastanza ampio perché il sole basso raggiunga qualche panchina. Cercherò un altro albergue in città per stanotte. Non so se ti riaccetterebbero nello stesso: i pellegrini devono camminare di giorno. Non sono neanche sicuro si possa fermarsi nella stessa città, lo scoprirò. Alla peggio trovo un posto non convenzionato con la credenziale. Certo dormire per meno di 10 euri sarebbe meglio.

foto

Uno scorcio carino lungo la camminata da Zubiri. Ma in effetti era tutto bello.
Uno scorcio carino lungo la camminata da Zubiri. Ma in effetti era tutto bello.
Il torrente che affianca tutta la camminata
Il torrente che affianca tutta la camminata
Una vecchia chiesa con un timbro che uno può auto aggiungere alla credenziale. Chiedono offerte per ripararla. Non credo ne ottengano tante.
Una vecchia chiesa con un timbro che uno può auto aggiungere alla credenziale. Chiedono offerte per ripararla. Non credo ne ottengano tante.
Una gallina che mangia i resti di cibo tra le gambe dei tavoli di un bar.
Una gallina che mangia i resti di cibo tra le gambe dei tavoli di un bar.
Ci sono diversi viali di Pamplona con questa soluzione di fondere i rami di più alberi per creare una copertura. Non l’avevo mai visto fare
Ci sono diversi viali di Pamplona con questa soluzione di fondere i rami di più alberi per creare una copertura. Non l’avevo mai visto fare
Una simpatica Fontana in un parco alla periferia di Pamplona
Una simpatica Fontana in un parco alla periferia di Pamplona
Pellegrini in cammino
Pellegrini in cammino
Credo sia il municipio di Pamplona
Credo sia il municipio di Pamplona
Pamplona by night
Pamplona by night
Il dormitorio dentro la chiesa
Il dormitorio dentro la chiesa
La mia stanzetta
La mia stanzetta
La chiesa vista dal mio letto al mattino
La chiesa vista dal mio letto al mattino
Se al bar chiedo un croissant con marmellata ti portano questo
Se al bar chiedo un croissant con marmellata ti portano questo

Zubiri

  1. Altra tappa piuttosto difficile. Ha piovuto quasi tutto il tempo è di nuovo fango a non finire sul percorso.

distanze

Non so come hanno calcolato le distanze quelli delle varie guide. Oggi avrebbe dovuto essere di 21 km, ma il mio orologio ne ha registrato 24. Fatte le dovute proporzioni il cammino dura ben più di 800 km.

internet

La connessione fa schifo quasi dappertutto. In teoria c’è il Wi-Fi in tutti gli albergue, ma deve essere condiviso fra troppe persone. É tutto il giorno che provo a caricare il blog di ieri senza riuscirci. La vita da blogger itinerante è faticosa. Mi chiedo come facciano quelli dall’Ucraina.

lavadora e secadora

Anche queste ci sono dappertutto, ma c’è sempre una coda infinita per poterle usare. Oggi mi sono appostato per due ore per potere usare l’ asciugatrice, non potevo farne a meno perché avevo tutti i vestiti pieni di fango e fa freddino, non sarebbero asciugati per domani. Una vera secadora.

dolori

Nonostante lo zaino portato dal taxi sono pieno di dolori ai piedi e alle gambe. Boh, magari il corpo si abitua. Lo Smart watch mi sta facendo un sacco di complimenti per il consumo di calorie. Spero di perdere peso, se non altro per compensare quello dello zaino.

auberge

Qui a Zubiri è meno bello. Mi sono fermato al Municipal perché è dove ti portano lo zaino se non sai dove farlo portare, e costa poco.

Ma ospita una quarantina di persone in questo momento, e non è all’altezza di farlo.

Anche la gente mi piace di meno qui. Parecchi gruppetti chiusi.

per strada

Lungo il percorso è sempre molto bello. Si incontra gente da tutto il mondo, e in genere hanno tutti voglia di comunicare. Oggi c’erano diverse coreane, tre persone dagli USA, parecchi tedeschi e francesi. Gli italiani li vedo solo quando è ora di mangiare. Qui si cucinavano degli spaghetti.

stanza

Nella stanza ci sono sei letti occupati e sono l’unico maschio. Sono tutte abbastanza disinvolte nel cambiarsi e girano in mutande. Mi sono fatto l’idea che l’essere una stanza femminile sia una questione di percentuale: 5 su 6 ne fa una stanza da donne.

domani

Domani Pamplona, spero che i muscoli reggano.

foto

Una cancellata col simbolo del Camino
Una cancellata col simbolo del Camino
Io, in posa, alla partenza del Camino
Io, in posa, alla partenza del Camino
Segnale di stop “camino like”, espressione di un americano che me l’ha fatta notare. Non si legge facilmente ma c’è scritto “don’t” prima e “walking” dopo la parola “stop”
Segnale di stop “camino like”, espressione di un americano che me l’ha fatta notare. Non si legge facilmente ma c’è scritto “don’t” prima e “walking” dopo la parola “stop”
Vista dal ponte medioevale di Zubiri
Vista dal ponte medioevale di Zubiri
Le scarpe a fine giornata
Le scarpe a fine giornata
Lavadora e secadora dell’albergue municipal
Lavadora e secadora dell’albergue municipal

Roncisvalle

É stata dura

Incredibilmente sono arrivato a Roncisvalle. Non ci avrei scommesso.

Ero stato tentato di prendere qualche scorciatoia per questa, che a detta di tutti, è la tappa più dura del Camino. Avevo pensato di spezzare la tappa a metà, fermandomi a dormire a Valcarlos, che come chilometraggio è a 12 km su 25. Avevo anche pensato di saltare proprio la tappa andando in pullman.

Alla fine l’unico sconto che mi sono fatto è stato di fare la via bassa, che invece di salire sulle creste e scendere a Roncisvalle, percorre dei sentieri che costeggiano la strada asfaltata.

Arrivati a Valcarlos con una discreta facilità abbiamo deciso (avevo Connie Leggi tutto “Roncisvalle”

Saint Jean Pied de Port

  • Flixbus

19 ore di pullman. Beh, una quindicina proprio a bordo, quattro ore ad aspettare un cambio a Grenoble. Ho avuto modo di fare una passeggiatina per il centro. Allenamento dell’ultimo minuto, diciamo.

Bella Grenoble, il Flixbus me lo aspettavo più organizzato. Controllavano il biglietto prima di salire e quello davanti a me aveva il posto 15D, che era anche il mio. Arrivato il mio turno il tipo guarda perplesso l’app, clicca, gira è rigira, e mi dice qualcosa tipo “si sieda qui”. Ma tanto i posti non erano etichettati, quindi era tutto alla sua discrezione.

Incredibilmente sono riuscito a dormire quasi sei ore, dormire seduti non è il massimo, ma dopo un po’ ci si abitua allo sballottamento, e i sedili si reclinano molto. Poi il cuscino gonfiabile da viaggio che mi hanno regalato per il compleanno è favoloso.

Tutto sommato mi piace l’umanità strana che frequenta i Flixbus. Non sono quelli con le valigie firmate che vedi negli aeroporti. Questi sembrano più veri.

Pensavo di trovare il bus pieno di futuri pellegrini, ma non ce n’erano. Il grosso fa le tratte tra le grandi città. Tanti da Grenoble a Tolosa.

C’è una coppia di 50 enni che è salita con me a Grenoble. Lui con zaino e bacchette da trekking, lei con un trolley. Insomma non li davo per colleghi. E invece lo erano. Mentre risalivamo sul bus dopo una sosta lei mi ha ricordato che c’eravamo visti a Grenoble, mi ha chiesto se andavo a camminare e quanto le ho detto che ero li per il cammino ha squittito di gioia dando gomitate al marito.

Evidentemente soffrivano anche loro di astinenza da co-pellegrini.

Parlavano solo francese, e il mio non è decisamente sufficiente a sostenere una conversazione. A un certo punto lei, resourceful, ha tirato fuori Google Translator e abbiamo capito che faremo due cammini diversi: loro fanno quello del Norte.

Chissà, magari li rivedo a Santiago.

la gente

Prima serata da pellegrino.

Avevo sottovalutato l’aspetto relazionale di questa esperienza. Il trovarsi a condividere la stanza con altre persone dà una spinta alla socializzazione che non mi aspettavo. O forse è il tipo di persone che vengono qua. La gente ti sorride dovunque vai, chiunque incontri ti dà la sensazione di condividere qualcosa con te, qualche impresa o significato profondo.

Molto bello.

Sono in una stanza con sette letti di cui quattro sono occupati. In stanza con me ci sono Brigitte che è slovena e Philippe che è belga. Loro sono arrivati con me e abbiamo chiacchierato un po’.

Philippe parla solo francese, Brigitte parla inglese abbastanza bene. L’ho sentita parlare sloveno al telefono e quasi si capiva, molte parole simili all’italiano.

La quarta persona non so neanche se sia un uomo o una donna: aveva già lasciato la stanza quando siamo arrivati ed è già rinchiusa nel sacco a pelo ora che sono tornato da cena. Vanno quasi tutti a letto presto perché si svegliano prestissimo per iniziare a camminare. Alcuni partono anche col buio e iniziano a camminare con la luce delle torce. Non credo lo farò mai.

Domani si inizia davvero il cammino. Vedremo come va. Sembra debba piovere.

varie

I locali parlano basco. Incomprensibile.

Le sigarette che in Italia costano 5 euro qui te le fanno pagare 7,50.

La ragazza che gestisce l’ostello si chiama Arghiciù (non ho idea di come si scrive, domani glielo chiedo), è basco e significa “piccola luce”, nome che le sta a pennello perché ha un sorriso magnifico.

foto

Una chiesa a Bayonne, credo la cattedrale
Una chiesa a Bayonne, credo la cattedrale
Vicente che, all’ufficio del turismo, spiega le difficoltà della tappa di domani a un gruppetto didi italiani,
Vicente che, all’ufficio del turismo, spiega le difficoltà della tappa di domani a un gruppetto didi italiani,

PS.

Vedo notifiche di auguri per il 25 aprile su qualche gruppo whatsapp, ma qui siamo su un altro pianeta.

Era una donna quella del quarto letto: si è alzata a chiudere la tenda della finestra.

È arrivato anche Philippe che era ancora cena, e si è messo a letto.

Ora vediamo di dormire.

Idea Peregrina

Tra qualche ora parto per Bayonne-Saint Jean Pied de Port per iniziare il mio Camino de Santiago.

Pellegrino ha una strana assonanza con Peligro, come Peregrino con Pericolo, ma lo si scopre solo crossando tra due lingue, come a sottolineare che le cose nessuno singolarmente le conosce, ma vengono fuori unendo punto di vista diversi.

D’altra parte Pellegrino deriva certamente, sempre crossando tra due lingue, da Pelle-green, pelle verde. Si riferisce evidentemente ai marziani, considerati i primi Pellegrini da quando in tempi remoti hanno colonizzato la terra fuggendo dalla distruzione del loro pianeta natale ad opera del Putin di quel tempo. Noi forse non faremo in tempo a fare lo stesso, per cui speriamo che i marziani abbiano pellegrinato anche su altri pianeti e che questi abbiano avuto più fortuna.

Queste riflessioni post-atomiche, tutto sommato, rendono l’idea di fare il Camino un po’ meno peregrina.

zaino

Comunque parto. Lo zaino è pronto, pesa sui 9 kg, e manca ancora l’acqua e qualcosa da sgranocchiare per strada. Non so se le mie ossa sono fatte per portare quel peso a lungo. Comunque ci provo. Intanto farò tappe corte, alla peggio userò uno di quei servizi per mandare lo zaino alla tappa successiva. Un po’ mi spiacerebbe perché obbligherebbe a decidere al mattino dove si ha intenzione di dormire la sera, e una delle cose belle di questa esperienza è proprio la libertà di prendere queste decisioni sul momento.

perché

Perché si fa una cosa del genere? Perché la faccio io? Perché si prendono le decisioni in generale poi?

Chissà. L’idea me l’ha data Federico. Lui c’è andato, negli anni scorsi, e mi piaceva seguire il progresso del suo viaggio su FB, ma non so quand’è che ho iniziato a coccolare davvero l’idea di andarci io. Ad un tratto ho fissato un periodo, poi una data. Nel frattempo ho iniziato a leggere guide sul cammino e siti vari.

Credo che la cosa che mi attira di più sia proprio il senso di libertà. Le giornate in cui hai una qualche meta lontana, ma il quando e se ci arriverai lo decidi momento per momento. Non che la vita del pensionato sia molto diversa, ma è in qualche modo ristretta da spazi e ritmi e abitudini che qui si dileguano.

Poi ovviamente c’è il turismo, il vedere bei posti, mangiare e bere cibi particolari, conoscere gente interessante (mi sono fatto l’idea che chi sceglie questo tipo di vacanza lo sia quasi sempre).

E c’è l’aspetto fitness. Con tutte ‘ste camminate un po’ di pancetta la farò fuori.

spiritualità

E c’è l’aspetto spirituale. Abbastanza indefinibile, ma il Camino è sicuramente un’esperienza spirituale in qualche modo.

Gli aspetti di religiosità tradizionale penso siano il meno. La leggenda della tomba del santo ritrovata dopo secoli lascia perplesso, come pure il santo che diventa popolare perché ammazza gli arabi (anche se un matarussospotrebbe fare comodo di questi tempi).

La serie interminabile di chiese e luoghi di culto di cui è disseminato il cammino è una cosa diversa, mi piace. Mi piacciono i luoghi dedicati alla riflessione. Mi piace l’arte che hanno ispirato, la gente che ha fatto sacrifici per costruirli.

Ma la spiritualità che vedo in questa esperienza è soprattutto legata al camminare. Le ore perso nei tuoi pensieri, con le endorfine che ti sollazzano, le ore in cui non è più molto chiaro dove finisci tu e dove inizia il mondo.

gadgets

Non fa molto pellegrino medioevale, ma sono contento dei pochi gadget che mi portò dietro. Per questioni di peso  ho rinunciato alla reflex, ma mi porto una piccolissima fotocamera a 360 gradi, che fa foto come questa:

Sono contento di portarmi il cellulare, che userò come mappa, guida e per restare in contatto con gli amici.

Sono contento dei tanti capi tecnici , dallo zaino ai vestiti che fanno sudare poco e asciugano in fretta. Con quello che ho speso solo per queste cose un pellegrino medievale ci avrebbe fatto due volte il giro del mondo.

insomma

Let’s go.

L’argine di Fiorano

Stamattina avevo voglia di fare una passeggiata. Voglia di camminare per i campi qui intorno. Fare qualche fotografia.

Mi incammino verso l’argine. Ci sono un sacco di queste stradine che vanno verso i boschetti intorno al paese. Ci trovi spesso gente che porta a spasso cani. Ogni tanto ci andiamo a cercare cose da mangiare: le famiole, credo si chiamino “chiodini” in italiano, sono quei funghi che vengono a cespuglietti, e i luartin, il luppolo selvatico con cui si possono fare insalate o frittate. Non sa di molto, ma è bello mangiare una cosa che hai raccolto tu.

Siamo finalmente sull’argine. È un terrapieno ad anello che circonda per tre quarti il paese. Sul lato non protetto il suolo è più alto e non rischia di allagarsi. L’abitato si propaga su un terreno che si alza tra due colline, una che divide la zona verso Lessolo, l’altra verso la Valchiusella.

L’argine è stato costruito in seguito all’alluvione dell’autunno del 2000. La Dora era esondata e aveva provocato parecchi disastri. Per proteggersi molti dei paesi della zona si sono rinchiusi in questi simpatici anelli, che finiscono per dare un carattere particolare al paesaggio.

All’epoca dell’alluvione in casa eravamo in cinque. Ivo e Rita erano ancora vivi, e Edo era ancora un bimbetto,

Rita è mancata poco dopo: credo che lo stress dell’evento abbia inciso non poco. A una certa età il senso di impotenza di fronte ad un disastro, la paura per il danno alle cose e alle vite stesse, può segnare profondamente un carattere abituato ad avere tutto sotto controllo. Col senno di poi non si era rischiato chissà che, ma lì per lì era sembrata abbastanza preoccupante: elicotteri che prelevavano le persone dalle case e distruggevano tutto quello che c’era intorno, voci di dighe che stavano per essere aperte provocando ondate tipo Vajont. Alla fine ce la siamo cavata con gli infissi da cambiare e un bel po’ di roba da buttare.

Per Edo è stata una specie di festa: lo si vede in un filmato dell’epoca che tira i suoi pupazzetti nella piscina in cui si era trasformato il cortile.

Io ricordo con orgoglio che ero riuscito a fare una moka di caffè con dei lumini.

Ma dicevo dell’argine. Qui è abbastanza basso, siamo verso la parte alta del paese. C’è qualche piccola attività agricola, in genere orti, che è rimasta all’interno. Il grosso dell’estensione del comune è fuori.

Mi piace questa camminata. Il silenzio dei campi. L’argine, come dice Laura, è diventato il boulevard di Fiorano. Ci trovi in genere parecchia gente che ci passeggia, o viene a correre, qualcuno che va in bici. Ma ora non c’è nessuno, sarà l’ora, o il tempo, benchè sia uno dei rari momenti in cui c’è l’erba tagliata.

Questa dell’erba è una cosa buffa: ai cittadini piacerebbe che fosse curato e agibile sempre, ma il comune non può occuparsene, perché l’argine è di proprietà di qualche ente (provinciale credo) che non sente questa necessità: per loro è un opera idrica, non un’area vivibile. Uno dei tanti casi in cui la burocrazia fa danni.

Non so cosa son venuto a fotografare. La banalità credo. La banalità che rivela una qualche bellezza, almeno per me, come la tessitura di questi laghi di granturco.

O le cataste di legna.

I riflessi delle pozzanghere.

Qualche attrezzo agricolo d’altri tempi.

Le montagne intorno.

O le piccole cose. I giochi di luce che rendono interessante l’erba dei prati.

Le gocce di rugiada.

La fotografia è un hobby riesumato dopo tanti anni. I miei hobbies sono molto ciclici, non so perchè.

Avevo sui sedici anni, o qualcosa di meno, quando ho costruito la mia prima camera oscura, nella cantina dei miei. Ricordo che andavo da Marvin, a Torino (non era ancora in via Lagrange, era dalle parti di corso Principe Oddone) a comprare gli acidi e le bobine di pellicola che avvolgevo, al buio, in rocchetti usati, per spendere un po’ di meno. L’ingranditore era una cosa piuttosto economica. L’ho buttato via, tra le cose infangate, proprio dopo l’alluvione, dopo anni di inutilizzo.

Non credo inseguissi una qualche idea artistica all’epoca. Ero più attirato dalla magia della cosa in sé. Soprattutto durante la stampa: queste immagini in bianco e nero che apparivano lentamente nella bacinella, alla luce della lampada giallo verde.

È tutto cambiato ora. Però mi ha colpito vedere che il processo di sviluppo della foto di fatto esiste ancora. Le macchine fotografiche compatte, o ancora di più, i cellulari, danno un’idea, fallace, di immediatezza. Scatto e la foto è lì, pronta per essere condivisa. Ma abbiamo solo realizzato una Polaroid più facile da usare. Una macchina a sviluppo automatico più sofisticata. Ma, come in ogni automatismo, le scelte vengono comunque fatte, semplicemente le fa qualcun altro.

Con le reflex, ancora oggi, il processo che passa dall’immagine scattata a quella pronta per essere condivisa o stampata è lungo e complesso.

La macchina salva in un file RAW, tutto quello che il sensore è riuscito a catturare, e sta ancora al fotografo, non più in un laboratorio pieno di acidi, ma davanti a un PC, tirarne fuori qualcosa che soddisfi il suo senso estetico.

I sensori delle fotocamere, ancora oggi, non sono in grado di catturare tutta l’estensione tonale che l’occhio percepisce, ma catturano comunque molto di più di quello che un display (o, peggio, un pezzo di carta stampata) sono in grado di rappresentare. Ci sono quindi un sacco di scelte da fare. Lo stesso fotogramma può contenere dettagli molto luminosi e molto scuri, ad esempio, e non possono coesistere, per i limiti detti sopra, nella stessa immagine. I colori catturati non sono mai quelli giusti, perché il nostro occhio/cervello si adatta alla luce che c’è e vede bianco anche quello che di fatto è giallo sotto una lampada. Insomma, l’immagine finale è sempre frutto di una post-elaborazione. La fotografia non è mai rappresentazione della realtà, è un mezzo espressivo con cui cerchiamo di trasmettere qualche emozione.

Quando ho scattato questa foto ho ripreso una fetta molto più grande della pianta. Mi sono accorto solo al PC della cimice e, ancora dopo, mentre la ingrandivo, degli altri insetti più piccoli che stanno divorando i chicchi.

Qui siamo all’esterno dell’argine. Ora è già più profondo. L’effetto è il prodotto di un preset di Luminar 4 che si chiama “Deep sky”: mette in risalto i dettagli del cielo. Quei raggi di luce che partono dalle nuvole io non li vedevo, ma il sensore li ha registrati e il software li ha tirati fuori. Il colore dell’erba è venuto fuori un po’ innaturale, forse, ma nel complesso mi piaceva. Volevo mettere in risalto le varie linee della strada, dell’argine, degli alberi che si intrecciavano. Si poteva sicuramente far meglio, ma sto imparando.

Una delle modalità espressive che trovo più interessanti è la cosiddette Priorità di diaframma.

Perché una foto sia accettabile, in termini di quantità di dettagli, al sensore deve arrivare un determinata quantità di luce, ma a far sì che questo succeda concorrono diversi aspetti: la sensibilità, il tempo di esposizione e l’apertura del diaframma.

La sensibilità determina quanta luce in totale è necessaria. Il tempo di esposizione determina per quanto tempo si fa arrivare luce sul sensore, e l’apertura del diaframma determina quanto è grande il buco da cui entra la luce.

I primi due, sensibilità e tempo, hanno un significato fisico completamente diverso tra le macchine analogiche e quelle digitali. Per aumentare la sensibilità, nelle prime, si spalmavano sulla pellicola sali d’argento di dimensioni più grandi e questo produceva le caratteristiche foto a grana grossa. Nelle macchine digitali i sali d’argento sono sostituiti da matrici di milioni di fotodiodi. I segnali elettrici prodotti vengono raccolti, amplificati e convertiti in numeri per la successiva elaborazione. L’aumento di sensibilità viene ottenuto nella fase di amplificazione: ad alte sensibilità corrispondono alte amplificazioni. E l’amplificazione di segnali deboli produce il cosiddetto rumore.

Curioso che alla fine tutto questo produca, nelle macchine digitali, risultati simili a quelli delle analogiche: ad alte sensibilità si ottiene di nuovo la grana grossa, anche se a sensibilità piuttosto più alte, bisogna dire.

Anche il tempo di esposizione ha cambiato significato fisico. Nelle macchine analogiche c’era un otturatore (nelle reflex una tendina che si apriva lasciando che la luce colpisse la pellicola per un tempo determinato). Nella maggior parte delle digitali moderne questo apparato meccanico non esiste più: il tempo di esposizione è governato da meccanismi completamente elettronici. Ma, di nuovo, l’effetto sulla foto è uguale: tempi di esposizione più lunghi permettono foto con meno luce, ma, inevitabilmente, più mosse.

L’effetto della maggiore o minore apertura del diaframma è l’unico aspetto dell’esposizione che è rimasto immutato col passaggio al digitale, sia sul piano logico che su quello del meccanismo fisico soggiacente. Questo perché, anche nelle macchine moderne, viene realizzato nell’unica parte della fotocamera che è rimasta analogica: l’obiettivo.

Il diaframma è un anello di lamelle che si apre o chiude comandato dall’elettronica che gestisce l’esposizione, realizzando un foro di diametro variabile. Quando il foro è alla larghezza massima i raggi di luce attraversano completamente la lente (beh, più di una se non avete comprato l’obiettivo in cartoleria), quando è chiuso i raggi attraversano solo la parte centrale della lente. E, ovviamente ci sono tutte le gradazioni intermedie tra le due posizioni. Obiettivi più costosi permettono aperture maggiori senza eccessive distorsioni. Gli obiettivi zoom, anche costosi, un po’ di meno.

Con le macchine moderne non è indispensabile preoccuparsi più di tanto dei meccanismi dell’esposizione: hanno automatismi che, in genere, prendono le decisioni giuste. Ma è possibile dir loro che una parte della decisione la vogliamo prendere noi.

Ad esempio si può scegliere di definire noi la sensibilità, per ottenere più flessibilità di manovra a scapito della qualità dell’immagine finale, o per forzare la qualità massima a scapito di qualche limite in più nella ripresa.

O si può scegliere di determinare noi la velocità di scatto per bloccare cose in rapido movimento (velocità alte) o per ottenere strisciature controllate anche da oggetti in movimento lento (ad esempio, con una velocità di scatto lenta si possono rendere mosse le auto che si muovono dietro il nostro soggetto).

Ma la cosa più interessante, dicevo, è determinare l’apertura del diaframma, perché maggiori o minori aperture determinano una messa a fuoco più o meno precisa.

Il meccanismo di messa a fuoco avvicina o allontana la lente dal sensore facendo in modo che i raggi di luce provenienti dagli oggetti ad una certa distanza finiscano sul sensore in modo puntiforme. I raggi provenienti da oggetti più vicini o più distanti arrivano al sensore sotto forma di cerchi più o meno ampi (tanto più grandi quanto più grande è l’errore e quanto più aperto è il diaframma). Questo offre una possibilità espressiva che amo molto: quella di poter controllare l’ampiezza di questi cerchi di confusione.

In pratica, ad aperture molto ampie del diaframma, e soprattutto usando un teleobiettivo, è possibile fare in modo che quello che sta dietro al soggetto diventi sfocato e indistinto, isolando gli oggetti in primo piano anche se illuminati nello stesso modo.

Così, ad esempio.

Ma torniamo alla passeggiata.

Siamo arrivati al punto in cui la strada principale del paese attraversava il punto in cui è successivamente passato l’argine.

È stata realizzata una deviazione più a monte, che scavalca l’argine senza pendenze esagerate, e il vecchio pezzo di strada è diventato un ramo morto utilizzato solo da chi abita nelle case in questa parte del paese, e da qualche trattore.

C’è un sacco di roba che vola in giro. O che si riposa sui fili dell’alta tensione. I tralicci creano ricami interessanti.

Un teleobiettivo sarebbe stato più utile dello zoom 24-70 mm che sto usando in questa passeggiata, ma i 24 megapixel della macchina aiutano parecchio se la destinazione dell’immagine è il display di un PC o di un cellulare.

Si trova anche chi potrebbe volare, ma è pigro, e cammina. La costruzione sulla sinistra contiene il gruppo elettrogeno. Viene manutenuto dalla protezione civile, credo, ogni tanto vedo che fanno esercitazioni qua davanti. Serve per alimentare le pompe in caso di alluvione, perché l’argine non è impermeabile, la struttura è una gabbia metallica piena di sassi e ricoperta di terra. Può rallentare l’acqua ma non impedirle di entrare per lungo tempo. L’alluvione del 2000 è durata 30 ore.

Così servono le pompe per ributtarla fuori, serve avere elettricità per farle funzionare, e la rete elettrica è la prima cosa che salta in caso di alluvione.

Siamo arrivati al punto in cui la strada scavalca l’argine. Lì a sinistra ridiscende in paese.

Interessante l’effetto di distorsione prospettica evidenziato dalle ultime due foto: quella sopra scattata con una focale più lunga (70mm) e quella sotto a 24mm. Guardate la distanza tra il cartello di ingresso del paese e quello di divieto di accesso: nella foto in alto sembrano nello stesso posto, ma il grandangolo sotto ci rivela una distanza ben maggiore.

Torno a casa, e c’è ancora qualcosa che svolazza in cortile.

Piazza Statuto

Ci sono i piccioni. Ne ho due che camminano qui davanti. Cazzo!, puoi volare e cammini! Hanno l’aria speranzosa, sì vede che qualcuno gli dà da mangiare qui. Sorry ragazzi, non ho niente.

È bella la gente sulle panchine, nessuno ha fretta. Circa la metà ha uno smartphone, due bevono un’aranciata e si baciano, gli altri guardano nel vuoto: meditano. Anche qualcuno di quelli col telefono medita: c’è uno che lo tiene sul palmo della mano, il dorso poggiato sul ginocchio, lì pronto, ma lo sguardo punta lontano.

Su una delle panchine c’è una gazzetta dello sport. Da sola. Deve essere triste essere una gazzetta dello sport su una panchina vuota. Cerca di afferrare il vento per andarsene, ma riesce solo a sventolare qualche foglio.

Tra un po’ apre la pizzeria, sono arrivato troppo in anticipo. No, forse era segretamente pianificato per stare un po’ qui.

Questi vecchi palazzi su piazza Statuto sono molto belli, non dev’essere male viverci.

C’è una schiusa di insetti. Sono tantissimi. Se guardi in controluce, il sole è basso a quest’ora, lì vedi danzare in mezzo ai pampini. Qualche piccione attraversa questa tempesta per andarsi a posare sulla fontana. Qualche piccione vola dopotutto.

Uno di quelli sulle panchine sembra un clochard, ha un sacco di borse e borsette e sembra piuttosto giovane. Ha anche una ventiquattrore.

Un signore anziano si è alzato dalla panchina, era uno di quelli che guardavano nel vuoto, aria distinta. Penso abiti in uno dei palazzi qua intorno. È ora di cena.

Ho messo via anch’io il cellulare per un po’, perso a guardare l’ultima luce che gioca con la fontana.

Intanto il clochard si è allontanato, ma ha lasciato le sue cose sulla panchina, forse dormirà lì.

Sono arrivati due a sedersi sulla panchina della gazzetta. La stanno leggendo, a volte basta saper aspettare. Discutono ad alta voce di un articolo: non sono italiani, una lingua latina direi. Ai due che si baciavano si è aggiunta una signora che stava facendo foto alla fontana. Credo sia la madre di lei, vanno verso il fondo della piazza, non sono italiani neanche loro.

Devo andare, ho in faccia l’aria instupidita da questa strana bellezza. Come sottofondo andrebbe bene “La sera dei miracoli” di Dalla.

Foto delle crociate

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