Diario di pensionato 2

Ho riesumato le cuffie Nuraphone. Le avevo acquistate diverso tempo fa, e giravano in casa da tempo, abbandonate dopo l’entusiasmo iniziale, semplicemente perché ultimamente riuscivo ad ascoltare musica solo in macchina, nel lungo andirivieni giornaliero verso Caselle.

Sono cuffie piuttosto care, si basano su un principio che ho trovato molto interessante: hanno un meccanismo di equalizzazione che adatta l’ascolto alle specifiche particolarità dell’orecchio di chi le indossa. Prima di poterle usare è necessario sottoporsi ad un processo di training in cui le cuffie capiscono come la persona ascolta. La particolarità della cosa è che eseguono questa misura senza la partecipazione attiva dell’ascoltatore. Si basano, se si crede a quanto pubblicizzato, su un principio in uso, negli ospedali per stabilire il livello di capacità di ascolto dei neonati. Questi non sono in grado di fornire al medico nessun feedback, e così si usa emettere all’interno delle orecchie dei suoni che provocano la vibrazione di qualche elemento all’interno dell’orecchio (ossicini ?) e la vibrazione di questo elemento, misurabile dall’apparecchio che esegue la misura, è proporzionale alla qualità uditiva a quella certa frequenza. In pratica si indossano le cuffie, stando perfettamente zitti e immobili, si sentono dei suoni strani, e dopo un minuto l’apposita app sul cellulare emette un verdetto, rappresentato visivamente con un simpatico diagramma, che corrisponde al proprio profilo uditivo. Il risultato, nell’ascolto musicale è notevole, sembra davvero di ascoltare musica per la prima volta nella vita.

Un’altra particolarità di queste cuffie è che hanno un sistema attivo di riduzione del rumore efficientissimo. Hanno un microfono che ascolta i rumori ambientali e li riproduce nell’orecchio sfasati di centottanta gradi, eliminandoli in questo modo completamente. Stamattina le ho usate per ascoltare un paio di capitoli de Il sistema periodico. Se ascolti del parlato, invece che musica, l’effetto della riduzione del rumore è sorprendente, fin inquietante. Il parlato ha frequenti silenzi, e durante quelli ti accorgi che sei completamente isolato dal mondo. Facevo qualche lavoro in casa, mentre ascoltavo, e non sentivo nessuno dei rumori normalmente associati con l’attività. Non sentivo il rumore che fanno i piatti o le posate mentre li estraevo dalla lavastoviglie e li riponevo nella dispensa. Non sentivo il rumore delle porte che aprivo e chiudevo, quello che fa il microonde mentre gira, al punto che andavo a guardare il display per verificare che fosse acceso. Sentivo il rumore del cuore che pulsava nelle orecchie e quello prodotto dalla deglutizione. Ho iniziato a mangiare con le cuffie e le ho tolte immediatamente: il rumore della masticazione copriva del tutto il povero De Capitani che leggeva.

Mi ha telefonato Sergio, da Follonica, rinnovandomi l’invito di andare a passare qualche giorno da lui. Ha un paio di case che affitta nella stagione estiva ai bagnanti, ora sono vuote e potrebbe ospitarmi. Mi attira molto l’idea di passeggiare sulla spiaggia d’inverno. Nelle prossime settimane farò un giretto fin lì. Sono anche incuriosito da un’altra cosa: Sergio ha un amico, ci siamo incrociati qualche volta in pizzeria ma non ne ricordo il nome, forse Stefano, che ha un hobby inusuale: possiede un metal detector è lo usa per spedizioni di caccia al tesoro sulle spiagge invernali. Sembra che trovi abbastanza spesso tesori come monetine perse dai bagnanti, una volta un anello d’oro, o altri misteri. Mi sembra in qualche modo simile alla pesca come attività: trovarsi di fronte ad una vasta estensione che contiene meraviglie, estensione di acqua o di sabbia, e sapere che sarebbe impossibile sondarla a fondo, per cui conta molto l’intuito, l’esperienza che sa cogliere dettagli elusivi, la fortuna. Mi piace l’idea del tempo trascorso in silenzio aspettando che il mondo ti sorprenda e accettando in anticipo che quel giorno scelga di non farlo. Ho visto che esistono anche progetti in rete su come costruirlo un metal detector, Stefano (?) ha riso dell’idea, forse a ragione, ma per me sarebbe un hobby nell’hobby: approfondirò.

Sto andando avanti con la messa a punto dell’ambiente per il mio progetto con clojurescript. Ho imparato qualcosina di Emacs, ma sto trovando difficoltà a trovare un punto di partenza stabile. Ẻ un mondo in evoluzione rapidissima. Esistono diversi tutorial in rete sui vari componenti da assemblare, ma mai nessuno che metta insieme i diversi pezzi nella loro incarnazione più recente. Il guaio dei tutorial ricettario, quelli che ti dicono fai questo, poi quello, non importa capire, per ora, vedrai che funziona, è, appunto, che non ti fanno capire, e che poi non funzionano. Il fatto è, che se tutto cambia continuamente, non ci si può permettere di non capire: qualsiasi tutorial, ad un certo punto non funziona ed andrebbe adattato allo stato recente di ogni componente. L’unico approccio possibile, a questo punto, è leggersi tutta la documentazione dei vari moduli, ma anche questo presenta non poche difficoltà. I progetti open-source sono un ecosistema, ognuno nasce e si modifica in risposta a qualcos’altro. Come i virus che evolvono paralleli agli organismi animali e vegetali. E sono impossibili da capire se non si conoscono gli altri componenti dell’ecosistema. É un infinito gioco di specchi, di continui rimandi, emozionante e snervante, e lento.

Serata a Torino, con alcuni ex colleghi, Antonio, Alice, Rocco, e Francesca che forse avevo intravisto nei corridoi, ma non conoscevo. C’era anche Giuliana con un altro gruppetto. Ho mangiato un ottimo panino al polpo fritto alla Pescaria in via Accademia delle Scienze, ci devo tornare. Poi siamo andati al Circolo dei Lettori, c’era uno spettacolo sulla poetessa Alda Merini, condotto da Paolo Squizzato, un prete che si occupa di arte e che avevo già visto in altre occasioni. Molto bello lo spettacolo. Raccontavano la vita della Merini e leggevano sue poesie. Bellissimo. Mi è piaciuto il fatto che questa donna amasse la vita, anche dopo periodi scurissimi, dopo tanti anni rinchiusa in manicomi. Mi ha sorpreso perché è frequente trovare persone che invece vivono di rimpianti. La mia vita è stata rovinata da questo o quello. Alda Merini sembra apprezzare anche il ricordo degli anni terribili. “Amo la vita perchè l’ho pagata cara”, fantastico.

Muoversi tra Fiorano Canavese e Torino è piuttosto scomodo. C’è qualche bus che fa servizio tra Fiorano e Ivrea, ma non fanno servizio alla domenica e l’ultima corsa da Ivrea a Fiorano alla sera parte alle 6. Il treno da Ivrea a Torino ci mette parecchio, a volte bisogna cambiare a Chivasso, e l’ultimo treno da Torino Porta Nuova a Ivrea parte verso le 10 e mezza. Insomma non si può usare per passare una serata a Torino. L’unica alternativa sembra essere l’auto, che preferirei non usare, o fermarsi a dormire lì. Ho guardato i prezzi delle camere, su AirBnb e Booking, con meno di 40 euro si può fare, un giorno ci provo. Un po’ buffo dormire in albergo a 50 km da casa, ma tant’è 😄. Ho visto che ci sono ostelli in cui un posto letto in una camera da sei persone costa poco più di venti euro, colazione compresa, è un esperienza da fare, credo siano frequentati per lo più da turisti stranieri, magari è anche l’occasione per conoscere gente interessante.

Comunque in macchina ho ascoltato ben tre capitoli de “Il Sistema Periodico”, ripeto: è un libro fantastico, mi piace questo suo amore per la scienza, per la sua chimica unito al suo occhio aperto sul mondo, sulle persone, sul momento terribile che ha vissuto: la guerra, il fascismo.

Ho partecipato, in questi giorni, a ben due riunioni della Zattera. Ẻ un associazione dei comuni della zona, Banchette, Samone, Lessolo e Fiorano. Si occupa di trasportare chi ne ha bisogno, anziani soprattutto, a fare visite in ospedale. Ho dato la mia disponibilità, sembra abbiano pochi autisti per i viaggi verso Torino, vediamo se mi chiamano qualche volta.

Mi sto informando su come allevare galline. Mi piacerebbe vederne qualcuna girare per il cortile. Ho chiesto a qualcuno che le ha: vicini, amici. Gianni mi ha prestato alcuni numeri della rivista “Vita in campagna”, con articoli sull’argomento. Sembra sia abbastanza facile. Devo costruire un gabbiotto in cortile per farcele stare di sera. Le galline si comprano a Marzo, la vicina mi ha detto che possiamo andare insieme ad una fiera, non ho capito dove. Ho tempo comunque. Ne prenderò tre. Non serve un gallo.

I fasti antichi dell’Olivetti

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Ho letto questo articolo di Veltroni sul Corriere. La storia di Mario Tchou e del primo computer Olivetti.

L’articolo è molto bello, e la storia toccante e inquietante, ma sono sempre un po’ perplesso quando sento parlare della grandezza passata dell’Olivetti.

Complotto o meno, mi viene da pensare che se bastava che morisse una persona perché morisse, sul nascere, la supremazia italiana nel campo informatico, vuol dire che quella grandezza era in quella persona, non nell’Olivetti e, meno che mai, nell’Italia.

Olivetti

Del lungo periodo trascorso in Olivetti, certo in anni già di declino, ricordo, tutto sommato, una certa mediocrità.

Eravamo probabilmente una spanna sopra al livello di molte altre realtà italiane in campo informatico, ne avevo il sentore e ne ho avuto conferma nella diaspora che è seguita alla chiusura dell’azienda, ma eravamo una spanna sotto molte realtà fuori dall’Italia.

La misura del progresso

Credo che la grandezza, in tutti i campi, soprattutto nel mondo di oggi, sia da misurare con un integrale, non con una quota: è inutile avere un pennone che svetta alto e fragile sopra una chiesetta modesta, quello che dura sono le piramidi, tutta una base che gradatamente si erge, senza aver bisogno di eccellenze individuali ed eroi.

Le nazioni che oggi sono meglio piazzate sulla scena economica mondiale sono, se ci pensate, quelle più gregarie, non quelle che esaltano l’individualismo. La Germania in Europa e tutti gli orientali.

Il problema fondamentale del nostro popolo, secondo me, sta proprio qui: da noi prosperano i furbi, non i bravi, e di base, sia quelli che prosperano che quelli che si accontentano e vivacchiano sono pigri e parassiti. Sarà il clima, il problema comune ai paesi latini, non so. Da noi quelli bravi, quelli che hanno doti naturali di qualche tipo e l’energia per metterle a frutto, diventano in breve individualisti e, spesso, prevaricatori, oppure gettano la spugna e cadono in depressione.

Aggregazione: politica e volontariato

Anche le forme di aggregazione, le manifestazioni di consenso corale, tradiscono quest’anima: da noi si scende in piazza a urlare, a distruggere. A rivendicare diritti, a rovesciare il tiranno, o, prima, quando ancora i singoli sperano in una pioggia di benefici, ad osannarlo.

Guardate la differenza, ad esempio, tra i sindacati italiani e quelli tedeschi. Lì i lavoratori hanno lottato non solo per rivendicare un miglior trattamento, ma per entrare a gestire l’azienda, per avere rappresentanza nel consiglio di amministrazione. I lavoratori hanno a cuore anzitutto che la ditta funzioni, il benessere individuale deve discendere da lì, dall’essere parte di una piramide che si alza.

Questo tenerci al sistema di cui fai parte, credo sia, o debba diventare, la vera misura del progresso. Non è il generico fare qualcosa per gli altri, che, in fondo, è un’altra forma di individualismo e pessimistica depressione. Mi rendo conto che le cose non funzionano, e ci metto una pezza. Vedo che lo Stato mangia soldi e li distribuisce ai parassiti e lascia i deboli al loro destino, e anziché tentare di cambiare le cose, aiuto, come posso, questi ultimi. Per carità, è un gesto onorevole, ma non sarebbe meglio risolvere il problema alla base ?

Da noi la politica si trasforma nell’ennesima palestra per le scalate individuali. I movimenti che ogni tanto nascono da parte di chi vede questo problema (penso al M5S e alle sardine) fanno presa solo cavalcando la furia distruttrice di chi ha risentimenti verso chi ce l’ha fatta, non diventano embrione di un modo migliore di costruire qualcosa insieme.

I partiti storici continuano a cambiare nome per accaparrare qualche illuso, ma nessuno prova a mettere in campo una scuola di comportamento e, soprattutto, meccanismi di dialogo, di confronto di idee, prima ancora che di scelta di rappresentanti.

Soluzioni ?

Non so come se ne esce, ovviamente. Non so se se ne esce.

Forse partendo dal piccolo: gruppi di amici che condividono questa tensione e cominciano a costruire piccole oasi di dialogo, condivisione, partecipazione.

Mi sembra che le sardine siano partite così, bello. Ora mi sembrano già diventate parte della maionese impazzita.

Forse ci va solo più calma.

Diario di pensionato 1

Perchè ? Boh, un po’ per me. Molto per me. Per tenere traccia del tempo che scorre, delle cose fatte e da fare, di quelle che dimenticherei, delle cose che si accavallano, i libri accumulati sul comodino. Forse per altri, se vogliono curiosare.

Ieri ho iniziato a ridipingere una porta in bagno. Inizio sempre a fare queste queste cose con manie perfezionistiche, fare le cose con calma e bene. In genere non è da me, forse è una fortuna. Comunque ho scocciato tutta la parete intorno per poi accorgermi che da un lato lo stipite ha un centimetro di distanza dal muro. Il legno che si è deformato. Riempito di stucco, oggi carteggio e dipingo, ora c’è Grazia che pulisce sotto, sembrava dispiaciuta che avrei risporcato subito dopo. Perfezionista anche lei.

Così mi son messo al PC, sto ascoltando una playlist di spotify (ora c’è Pride di John Legend, molto bello). Ho questa vaga idea di scrivere un programma per la modellazione 3d: una cosa per disegnare le cose da stampare con la stampante 3d. Ma la sto prendendo da lontano. Sono partito a mettere a punto il mio desktop ideale, ne ho provati diversi e ho deciso di usare Xfce, una cosa da smanettoni. In effetti sto aspettando che arrivino i pezzi del mio supercomputer, se PcTecStore si sbriga

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hanno l’ordine dal 27 e sembra tutto fermo, al telefono mi hanno detto che è perché erano chiusi nelle vacanze, ma allora non potevano chiudere il sito ?, spero non sia una fregatura. Mai più, Amazon forever.

Quando arrivano e monto il PC riinstallo tutto lì, con Xubuntu che ha Xfce di serie.

Come linguaggio vorrei usare clojurescript. Mi sembra unisca due cose molto belle: Clojure, che è un Lisp rimodernato e davvero piacevole da usare (programmare deve anzitutto essere divertente, il cervello funziona mille volte meglio quando fai qualcosa che ti piace) e javascript che è ormai il linguaggio per antonomasia, quello in più rapida evoluzione, quello per cui trovi librerie per fare qualsiasi cosa. In particolare la libreria tree.js mi sembra interessante per quello che voglio fare.

Ma, come ho detto, la sto prendendo con calma, parto dall’editor da usare: ne ho provati diversi e ho, quasi deciso di usare Emacs. Il motivo è che una delle potenzialità più importanti di Clojurescript è il REPL, un ambiente che ti permette di interagire col programma in esecuzione, poter modificare un programma mentre sta girando velocizza in modo spaventoso lo sviluppo. È la stessa cosa che succede nella la scrittura di un testo, o nel dipingere: chi scrive non sa mai bene cosa deve venire fuori, è un processo interattivo, cominci a scrivere delle cose, hai solo un’idea di massima, e mentre scrivi e rileggi le cose prendono una loro forma, il testo si scrive da solo e tu gli vai dietro, cerchi di restare sul sellino. Magari provi a dire al testo “ma io volevo andare là” e lui a volte ti ci porta, altre ti fa scoprire paesaggi più belli. Il tempo di feedback è fondamentale perché si inneschi questo processo: se ad ogni modifica, ad ogni pennellata, vedi immediatamente il risultato, anche i programmi cominciano a scriversi da soli.

Dicevo di Emacs, interagire con un REPL è una cosa complessa e richiede molta flessibilità da parte dell’editor. Emacs sembra quello con maggior flessibilità, almeno giudicando dai commenti che vedo in rete. Il guaio è che non lo conosco granché, per cui la prima cosa che farò sarà seguire un bel tutorial sull’argomento 😄.

Data una prima mano di vernice alla porta del bagno, il risultato è che il cellulare non riconosce più la mia impronta. Pranzato col baccalà alla molisana che ho preparato ieri.

Ricetta di zia Enza per il baccalà alla molisana:

Una confezione di baccalà salato (nella mia c’erano due mezzi pesci), uva passa, 7 noci, una bustina di pinoli, mollica di pane (non ne avevo e ho usato pangrattato), fichi secchi (non ne avevo e non li ho messi), olio evo.

Mettere a bagno in baccalà per un giorno e mezzo cambiando l’acqua ogni tanto per togliere il sale, uvette a mollo per mezz’ora e poi strizzate. Si pulisce e taglia il baccalà e lo si fa a pezzetti. Teglia unta con l’olio, strato coi pezzi di baccalà, un goccio di olio sopra, a parte si fa l’intruglio con pane, pinoli, uvetta e se ci sono, i fichi tritati, un po’ di olio per inumidire il tutto, amalgamato tutto nel bimby, e versato sullo strato di baccalà (l’intruglio deve coprire il pesce), velo di stagnola sopra perché se no l’uvetta brucia. In forno a 180 per mezz’ora.

Buono, ma è venuto più secco del suo (mia zia) e meno dolce perché non c’erano i fichi, ma per qualcuno non guasta.

Iniziato il tutorial di Emacs, veramente bello. Il concetto di base è che che l’interfaccia uomo macchina realizzata col mouse, benché salutata negli anni ’80 come una grande innovazione, si è rivelata un grosso collo di bottiglia. Le mani, le dita, hanno agilità sorprendenti, sono connesse al cervello con una banda passante imponente dal punto di vista neuronale. La nostra capacità di esprimere il pensiero attraverso i movimenti delle dita è stata plasmata da milioni di anni di evoluzione, da migliaia di anni di lavoro dei nostri antenati, il sottosistema cervello dita è in grado di imparare rapidamente nuovi gesti per tradurre concetti in lavoro. Non così si può dire per il polso. Coordinare il movimento del polso per usare il mouse richiede molta fatica all’inizio e ci si assesta ad un livello piuttosto povero anche dopo anni di utilizzo. La tastiera è tutta un’altra storia: non si finisce mai di migliorare, e la capacità espressiva è senza paragoni. Emacs ti permette di fare tutto senza staccare le dita dalla tastiera. Non è solo un fatto di velocità, anche, ma soprattutto di concentrazione: togliere le mani dalla tastiera per afferrare il mouse e muoverlo col feedback visivo crea una distrazione inutile. Pensate alla differenza ergonomica tra battere contro-s e afferrare il mouse, muoverlo verso la entry “File” sul menù, aspettare che si apra, individuale il “Save”, e finalmente cliccarlo.

Date due mani alla porta, ma non basta. Il boss dice che il colore è troppo chiaro.

Antonio ha messo un link al Sistema Periodico tra i commenti al post precedente. Ho iniziato a sentirlo dall’inizio: davvero molto bello. Elio de Capitani è molto bravo a leggerlo. Mi piace come legge, anzi, interpreta, il piemontese. Ho ascoltato i primi due capitoli. Mi ha colpito la storia dell’ebraico piemontesizzato, pensavo a quello che avevo scritto sui linguaggi, come nascono e si trasformano in base ai gruppi di persone, come servano ad unire e insieme dividere. Mi è piaciuto anche dove descrive il perchè, le radici, del suo amore per la chimica. Mutatis mutandis ci vedevo cose simili nel mio amore per l’informatica: tra l’altro una qualche promessa di redenzione universale. Chissà, forse tutte le innovazioni tecnologiche sono state viste da qualcuno in questo modo.

Ora si guarda Messiah su Neflix.

Retired


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Ieri Vito mi ha mandato questo messaggio. Questo post è la risposta.

Passo importante, la pensione: merita scrivere qualcosa: una specie di lapide su questo lunghissimo periodo della mia vita che si è chiuso. Altrettanto importante dell’apertura di quella parentesi: ricordo ancora, in mezzo ad altre sensazioni, come l’euforia di aver finalmente un lavoro, di aver in qualche modo trovato un mio posto nel mondo, e le ambizioni, e le aspettative, il senso di panico per il tempo che veniva incanalato in una dimensione nuova, preoccupante. Il non poter più disporre delle mie giornate come facevo prima: una ricchezza che davo per scontata e, improvvisamente, non c’era più. Non poter più vedere gli amici quando volevo, non poter più decidere giorno per giorno, ora per ora, cosa fare.

Lavoro, Realizzazione e Riposo

Il dono più affascinante della pensione è il senso di riposo, credo. La possibilità di alzarti più tardi, magari di tornare a dormire se sei stanco durante il giorno, o di fare un pisolino dopo pranzo. Ma anche, in generale, il poter adattare il tuo tempo al ritmo generale delle cose: uscire a passeggiare o in bici, magari solo a far la spesa, nelle ore di sole. Cucinare e mangiare quello che ti piace o ti fa bene, senza dipendere dalle scelte di una mensa aziendale. Essere a casa quando arriva un corriere con un pacchetto di Amazon 😁. Fare dei lavori in casa, o semplicemente esserci quando arriva un idraulico o un muratore. Godersi i propri spazi, la casa, di giorno, col sole, invece di vederla solo in qualche ritaglio al mattino o alla sera o nei frenetici fine settimana in cui cerchi di recuperare tutto quello che avresti voluto/dovuto fare nel resto del tempo. Divertimento e riposo compresi.

Detto questo, a parte gli aspetti su elencati, decisamente piacevoli, è un peccato che si passi la maggior parte del tempo lavorativo ad aspettare che finisca. Il lavoro, di per sé è la dimensione che maggiormente valorizza l’essere umano. E’ probabilmente la porta migliore che abbiamo per quel po’ di felicità che ci è concessa. Siamo veramente felici solo in quei magici momenti in cui siamo persi nel fare qualcosa che ci viene bene, qualcosa che sappiamo fare ed è utile al mondo intorno, qualcosa che, in qualche misterioso modo, aggancia la parte più profonda di noi, il nostro piccolo ingranaggio, alla complessa macchina del mondo. E forse la parte economica del lavoro, quella che, a volte, consideriamo più importante, quanto guadagniamo, è solo il meccanismo ormonale che ci guida verso la collocazione migliore.

Insomma il lavoro è una bella cosa, il fatto che la percepiamo spesso diversamente è solo il segno di qualcosa che non va. Nel modo in cui viene organizzato, nella società, nel modo in cui ci hanno educati a pensarlo.

Ho avuto la fortuna di lavorare sia in ditte piccolissime (il mio primo lavoro è stato in una ditta in cui ero l’unico dipendente: facevo il softwarista, l’hardwarista, il segretario, le consegne e il supporto clienti, l’ufficio acquisti, il commesso, e lavavo i vetri e i pavimenti) che in realtà molto grandi, con decine di migliaia di dipendenti, passando per piccole società in cui ancora conoscevi i padroni. Ho potuto farmi un’idea abbastanza precisa, dei vantaggi e svantaggi di un tipo di organizzazione rispetto all’altra. Il problema comune a tutte, direi, è la difficoltà ad innovare. Nelle aziende piccole perché innovare costa, e quindi si spreme il limone fin che ce n’è per continuare a esistere, nelle grandi, dove le risorse ci sarebbero, perché non si sa bene dove agire: chi comanda non lo sa, per cui delega. Delega a persone diverse la produzione e l’innovazione e il risultato è che chi deve innovare non sa dove agire, tenta di importare soluzioni di moda, che in genere non si adattano. Alla cultura, alle persone, e comunque non fanno presa perché gli altri, quelli che fanno, vengono misurati su obiettivi completamente diversi.

Questo problema dell’idra, il mostro a più teste, è presente in tutte le grosse aziende: aspetti diversi e conflittuali tra loro vengono allocati a responsabilità diverse. Il risultato è che chi si occupa di sicurezza, o di acquisti, ad esempio, farebbe scelte completamente diverse da chi progetta o produce, e non c’è, ne ci può essere, nessuno che armonizza questi cervelli.

In definitiva il problema è l’applicazione del feudalesimo a una realtà multidimensionale. Non funziona. Mi spiego meglio. Le grosse aziende, anche se paladine del libero mercato, che tutto sommato è una forma di democrazia, o, almeno, di governo cooperativo, mediato da uno strumento che chiamiamo denaro, di fatto sono organizzate con gerarchie feudali: c’è uno in testa che comanda, in genere su un insieme di cose troppo complesse perché uno solo le possa capire, e allora delega a un pugno di altri. Come li sceglie in genere è già un problema. Come è stato scelto lui è un problema anche maggiore: gli azionisti hanno a cuore che qualcuno faccia fruttare i loro soldi e quindi scelgono uno che sa di soldi. Ma in genere non sa di scarpe, o di pomodori o elettronica o qualsiasi altra cosa sia il core business dell’azienda. Il capo in testa delega in base a qualche tipo di organizzazione studiata a tavolino, e che nessuno ha mai dimostrato funzioni. Immagino che il metro sia che si fa in genere così. E di lì in cascata, ogni gradino trattiene i suoi soldi e i suoi onori e ri-delega in basso più o meno con gli stessi criteri, fino ad arrivare a qualcuno che si arrabatta per far funzionare qualcosa, generalmente lottando contro gli altri pezzi dell’azienda. È ovvio, infatti, che a quel punto ogni ramo persegue obiettivi separati, molto spesso in conflitto con quelli degli altri rami. Quando qualcosa funziona è perché, più o meno casualmente, ogni tanto, qualcuno con un minimo di competenza del ruolo che occupa, si impone e, sgomitando, barando, in genere aiutato da qualche capo che si rende conto della sua incompetenza e lo lascia agire, usa tutto il potere di cui riesce a impossessarsi per agire in modo sensato.

Le aziende generano e nutrono mostri …

Una struttura feudale del genere non funziona, ma non lo sa. Resta in vita perché l’investimento di capitali ha tempi di verifica lunghi e perché, in vario modo, drena risorse dalla società, innescando, ad esempio, vari tipi di contrafforti economici, in nome, in genere, della difesa dell’occupazione, o dell’italianità, o, spesso, meccanismi di lobbying, corruzione, miopia dei sindacati o dei governi.

In una struttura del genere prosperano mostri. Di diversi tipi:

  • Il Mastro Proia Iungi U Frusc’llar. Viene dal paese di mio padre, in Puglia: il maestro nell’arte di porgere i giunchi a quello che fa i cesti di vimini. L’esperto di un mestiere che esiste solo lì, che non avrebbe senso da nessun’altra parte. Il ganglio nervoso di un organismo insensato, che persegue obiettivi locali, senza mai chiedersi se e come quello che fa si relaziona con il motivo di esistenza dell’azienda nel suo insieme.
  • L’arrampicatore. Quello che magari ha capito che è tutto una finzione, ma se ne approfitta. Sgomita. Tesse relazioni. Lecca culi, ma solo finché serve, poi ne uccide il proprietario. Accumula potere, ma non per poi usarlo per dare finalmente un senso al lavoro suo e di altri, ma per occupare ruoli sempre più pagati. Quelli per cui l’azienda è un’arena in cui duellare. Quelli per cui i colleghi sono avversari da sconfiggere o pedine da utilizzare. Ecco, per loro il termine retired è adatto al momento del pensionamento: ritirarsi dalla tenzone.
  • Il parassita. Sono la maggior parte. Quelli che neanche si pongono il problema del fatto che il lavoro possa/debba avere un senso. Passivi. Quelli che fanno finta di lavorare, appena non sono troppo in vista si fanno i cazzi loro. Quelli per cui la massima ambizione lavorativa è essere messi da parte. Quelli per cui timbrare il cartellino è il lavoro.
  • Le puttane. La versione orgogliosa del parassita: stesso giudizio sull’utilità del lavoro, stesso atteggiamento verso il senso dell’azienda, ma non possono accettare/rischiare di essere messi da parte. E allora lavorano: fanno quello che gli si dice, che i capi gli dicono. Ma attaccano l’asino dove vuole il padrone, anche quando si rendono conto che è inutile o è un danno per l’azienda. Mi paghi? Faccio quello che vuoi, non una virgola di più. Non un briciolo di senso critico. Mai una spinta a migliorare, un suggerimento.

Quanti ne ho incontrati, di questi mostri. Con quanti mi sono scontrato. Spesso non si rendono neanche conto di esserlo.

… e ospitano meraviglie

E in mezzo a tutto questo disastro umano ed economico qui e là trovi delle persone. Delle persone belle. Gente che magari è stata mostro (anch’io penso di esserlo stato, mostro di tutti i tipi sopra) e ad un tratto si è risvegliata. Bruchi diventati farfalle. Restano lì, ovviamente, conservano, a volte, la parvenza di mostro, un po’ ingentilita magari, ma restano lì in mezzo. In una situazione economica diversa si muoverebbero, forse. E però cominciano a volare, a splendere. Sono quelli che danno valore ai rapporti con le persone, quelli che ti rendono meno penoso andare al lavoro ogni giorno. Quelli che, comunque, cercano di coltivare una professionalità. Quelli che continuano a sperare che qualcosa cambi, che ne colgono i segni, che, nel loro piccolo, fanno qualcosina perché succeda. Quelli che puoi arrivare a considerare amici.

Tanti, anche di questi ne ho trovati tanti. Un abbraccio.

Hobbies

Beh, ora sono qui, e proverò a inventarmi qualche modo per impiegare il poco tempo che mi rimane dalla lista di cose che mia moglie mi lascia da fare ogni mattina.

Un parziale elenco di idee potrebbe essere: andare in bici, fare passeggiate, andare in piscina, visitare musei, leggere, ascoltare musica, imparare qualche lingua, qualche nuovo linguaggio di programmazione, fare qualche corso su Coursera, imparare a suonare qualche strumento, partecipare a qualche progetto open-source, crearne qualcuno, provare a fare qualche lavoro freelance, scrivere su questo blog, andare a pescare, coltivare l’orto, allevare galline, o cavallette, giocare con l’arduino e il black berry, o la stampante 3d, fare fotografie, magari col drone.

Lo so: dovevo andare in pensione a 13 anni.

Fede

K. Gibran

La fede è il senso del cuore, come la vista è il senso dell’occhio.

Forse sono un po’ infastidito proprio dalla parola Fede. La frase citata sopra, di K. Gibran, me la fa un po’ rivalutare. Il senso del cuore. Proprio bello. Ma credo che non venga intesa così dalle persone che si professano religiose. Credo che per loro non sia un senso del cuore, ma un parto del cervello. La fede, come è comunemente intesa è una decisione razionale. Provo ad indagare tra i miei ricordi, visto che ci sono passato. Direi che era uno scommettere su una cosa o un’altra. Pascal. Sarà vero quello che mi stanno raccontando o no ? E su che elementi baso questa decisione ? Persone che stimo ci credono. Migliaia di anni di storia, milioni di persone nel corso dei secoli. Elaborazioni infinite. Autorità, gerarchie, regni. D’altra parte milioni non ci hanno creduto. Eroi e martiri su entrambe le barricate. Santi ed eretici.

Anche gli eretici hanno avuto fede, sono morti per quello in cui credevano. Qual’è la differenza ? Che quelli che oggi detengono la versione ufficiale, quelli che hanno ereditato il simbolo del partito, hanno vinto. E quindi ti raccontano la storia dal loro punto di vista. Raccontano che la Chiesa è stata fondata direttamente da Dio, dire che quello era un uomo la sminuirebbe, traballerebbe tutto il castello. Per carità, tutto il rispetto per chi si sente di aderire a questo tipo di spiegazione. A me non dice più niente. Anzi, penso che faccia del male. Perchè lo confronto con la fede-senso-del-cuore. Probabilmente non ce l’hanno tutti questo senso. Anzi, credo decisamente in pochi. Forse è genetico: o lo senti o no. C’è chi non distingue il rosso dal verde, e c’è chi non sente il bisogno di chiedersi che ci facciamo qui. O gli viene facile accettare una spiegazione di comodo, il caso forse. Ma la storia di un Dio che in milioni di anni di storia, milioni di pianeti forse abitabili, abbia scelto un posto specifico nel tempo e nello spazio, un popolo di pastori, e in quell’ambito un uomo particolare. Abbia scelto di veicolare la storia di quell’uomo infiltrando organizzazioni terrene, come l’impero romano, creando infine uno stato, con una banca, e abbia stabilito che il capo di quello stato fosse il tramite diretto verso di lui … per favore ! Sembra la trama di qualche pessimo film su qualche dittatura sudamericana. La fede-senso-del-cuore, non può accettare queste cose. Brucia. Vuole capire. Capire col cuore, non col cervello. La razionalità qui non può avere il primato. Il cuore lo sente il Dio che parla. Qualche cuore, almeno: genetico.

Homecoming

Tempo fa ho letto un meraviglioso romanzo di Orson Scott Card (in effetti una serie di cinque romanzi, una saga). Si chiama Homecoming. Purtroppo sembra sia stato tradotto in italiano solo il primo libro. Parla di un pianeta, Harmony, popolato da gente fuggita dalla Terra per evitare qualche catastrofe incombente. Gente con tecnologie molto avanzate. Arrivati sul pianeta decidono che il problema più grosso dell’umanità, quello che ha provocato la distruzione del pianeta nativo, è l’incapacità di coniugare il progresso tecnologico con l’armonia tra i popoli. L’istinto di prevalere, la guerra, unita a capacità di distruzione oltre misura condannano l’umanità all’estinzione. Per ovviare a questo rischio pianificano un esperimento sociale: manipolano geneticamente i loro discendenti in modo che le loro decisioni e l’acquisizione stessa di conoscenze sia sottomessa all’approvazione di un computer.

L’Oversoul, questo è il nome che viene dato dai loro discendenti al computer, controlla tutti i cervelli umani del pianeta. Raggiunge queste antenne biologiche nella corteccia cerebrale di ognuno attraverso una rete di satelliti che circonda il pianeta. Per gli umani, per la percezione che ne hanno, l’Oversoul è Dio, con tanto di ordini religiosi da cui viene venerato,e riti e credenze varie. La missione dell’Oversoul è di impedire all’uomo di sviluppare qualsiasi cosa possa servire a scatenare guerre su scala geograficamente ampia. L’uomo non può inventare/costruire armi, ma neanche mezzi di trasporto di massa, perchè permetterebbero a truppe di un paese di assalirne un altro. In compenso il mondo è avanzatissimo, esistono i computer e le università dialogano attraverso una rete. Questo stato di cose deve durare fino a che l’uomo non sviluppi la capacità di evitare la violenza, di scegliere il dialogo come mezzo di risoluzione dei conflitti. La narrazione della vicenda si svolge 40 milioni di anni dopo. L’uomo è ancora come prima, Scott Card è molto pessimista. L’Oversoul dovrebbe continuare il suo compito, ma non può più. I coloni originari non pensavano ci potesse volere tutto questo tempo. I satelliti cominciano a rompersi o a cadere, gli organismi umani evolvono geneticamente sviluppando individui sempre più sordi a questa ingerenza dell’Oversoul. Il computer elabora un piano per uscire dalla situazione. Nel corso di diverse generazioni manovra le persone in cui queste antenne biologiche sono più sensibili, in modo che si incontrino e generino figli sempre più capaci di comunicare con questa macchina-Dio. Tutto questo si scopre tardi nel romanzo. La storia viene raccontata con gli occhi dei protagonisti, che sono l’apice di questa selezione genetica. Nafai, il personaggio principale, può dialogare direttamente con l’Oversoul. Io trovo che questa fantareligione costruita da Scott Card sia un buon paradigma di quello che avviene in realtà. Non so se ci sia un Dio che direttamente seleziona la gente per amplificare queste antenne, non sono neanche sicuro che questa sensibilità per il trascendente costituisca un vantaggio evolutivo, ma mi piace pensarlo. Penso che qualcuno abbia queste antenne più sviluppate di altri, e chiami Fede una cosa diversa dalla scommessa di Pascal. Per queste persone il mondo spirituale è una cosa che si sperimenta, che ha a che fare con l’arte, con l’intuito. Insomma col cuore.

See

Un’altra bellissima parabola di questo concetto di fede come risultato della combinazione genetica, è una serie tv apparsa in questi giorni su Apple TV Plus, la piattaforma di streaming lanciata da Apple. La serie si chiama See.

La storia racconta di un virus che ha decimato l’umanità lasciando i pochi superstiti completamente ciechi. Tantissimi anni dopo esiste una civiltà di gente che ha completamente dimenticato il senso della vista. Qualche leggenda ne parla, ma nessuno riesce a immaginare cosa davvero potesse essere. Molti non ci credono. Chi ne parla viene bollato come eretico. Ci sono state evoluzioni genetiche che hanno portato alcuni individui ad amplificare la portata degli altri sensi. Persone con udito finissimo o un olfatto particolarmente sensibile vengono usate nelle guerre per sentire l’avvicinarsi di eserciti nemici. Qualcuno è in grado di percepire a distanza sentimenti come l’odio. Quasi tutti sono in grado di muoversi agevolmente anche in ambienti non conosciuti, sanno percepire un burrone sul loro tragitto. Quasi tutti riescono a capire se un interlocutore mente.

In questo mondo nasce per caso un uomo che ci vede. Dà vita a due bambini anche loro in grado di vedere. E devono nascondersi dal resto del mondo che ne ha paura, perchè non capisce cosa possa essere questo vedere.

Credere

Penso che, almeno in parte, queste due storie non colgano esattamente il punto. La fede, questo senso-del-tutto di cui qualcuno è più dotato di altri, non rappresenta un vantaggio evolutivo individuale, almeno non così diretto. I protagonisti vedenti di See possono usare armi come l’arco e le freccie che sono preclusi agli altri, i protagonisti di Homecoming ricevono direttamente dall’Oversoul indicazioni che li proteggono dai pericoli e li guidano nel raggiungimento della loro missione. É bello pensare che vantaggi simili siano in qualche modo offerti anche ai credenti, ma il punto principale non è questo. La fede non serve a diventare superman.

Mi piace pensare che il vantaggio evolutivo ci sia, ma sia di gruppo. Una società ricca di individui che regolano le loro scelte tenendo conto di una visione più ampia è destinata a prosperare rispetto ad una in cui prevale una visione egocentrica.

La Chiesa e la sua crisi

Ultimamente la crisi della Chiesa è visibile a tutti. In genere, soprattutto dai cattolici, viene attribuita a fatti recenti, come la pedofilia, qualcuno la vede come risultato del non aver saputo adattarsi ai tempi moderni (sacerdozio femminile negato, celibato non più attuale/sostenibile). Probabilmente questi aspetti hanno contribuito all’accelerazione del fenomeno dell’abbandono di tanti fedeli, ma secondo me la questione ha radici più profonde e antiche.

La chiesa ha sempre avuto tante correnti, e tanti sono stati nel corso della sua linga storia i tentativi di rinnovamento, di riscoperta del valore fondante, ma bisogna dire che la chiesa main-stream ha da sempre avuto un carattere ben lontano da qualsiasi cosa chiunque possa capire del messaggio a cui la chiesa stessa si ispira leggendo un qualsiasi vangelo.

Gesù di Nazareth predicava la precarietà, la povertà nel senso di abbandono delle preoccupazioni legate alla sopravvivenza (“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?”, Matteo 6), di abbandono addirittura delle preoccupazioni legate alla diffusione del messaggio (pensate al discorso sui servi inutili in Luca 17, o al “non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” in Matteo 10).

A fronte di questa preoccupazione la Chiesa si è sempre data un gran daffare per accumulare denari (per la propria sopravvivenza), ad accumulare potere (per diffondere il messaggio), ad accumulare pensieri, dogmi (perchè il messaggio trasmesso fosse solo quello delle gerarchie, perchè lo Spirito neanche si sognasse di parlare per bocca di qualcun altro). Insomma, se c’è una cosa che la Chiesa non ha mai avuto è stata la Fede.

La dottrina cristiana, in particolare quella cattolica (la riforma protestante ha avuto il merito di provare a scrollarsi di dosso alcune di queste incrostazioni) è un castello di insensatezze, partorite da anime cupe, spaventate dalla natura umana, in particolare dalla sessualità, e in genere tese a giustificare sè stesse e la struttura terrena e di potere temporale della Chiesa.

Il concetto base di questo castello di idee è il concetto di salvezza. Secondo la dottrina ufficiale l’uomo nasce dannato, per una colpa commessa dai suoi progenitori, e la persona di Gesù è il Dio mandato tra gli uomini a compiere un estremo sacrificio per togliere questa colpa, per salvarci da questa macchia originale. Perchè un Dio (che si suppone sano di mente e soprattutto buono) avrebbe dovuto architettare una cosa così strampalata non è dato di saperlo. Come questi concetti trovino radice nei pochi scritti che ci sono arrivati della predicazione di Gesù non è chiaro, come non è chiaro dove avrebbe detto ai suoi discepoli di fondare una Chiesa con struttura feudale. Se da un lato la famosa frase “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa” è quanto meno una traduzione sbagliata (il termine greco tradotto come pietra è in effetti ciotolo, non roccia, il termine corretto avrebbe avuto tutt’altro senso) poco si concilia con tutto il resto della predicazione di Gesù (vedi ad esempio frasi come “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.” Matteo 23).

Non possiamo sorprenderci oggi che questo edificio di assurdità (in mancanza di un messaggio sensato lo si è sostituito con formule vuote ammantate di dogmatismo e imposte alla religiosità popolare con l’infallibilità della gerarchia) collassi. La cosa triste è che essendo stata percepita come l’emblema, il fulcro della religiosità rischia di portarsi dietro, in questo crollo, tutto quanto di bello c’è nel messaggio dei vangeli e nella spiritualità in generale.

Il Vangelo di Marco

Non intendo cantare la gloria né invocare la grazia o il perdono, di chi penso non fu altri che un uomo, come Dio passato alla Storia.

Ma inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore, perdonando con l’ultima voce chi lo uccise tra le braccia di una croce.

(Si chiamava Gesù – Fabrizio De Andrè)

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Riprendo la chiacchierata sulla religione cristiana iniziata con la Trinità. Dicevo lì che mi piaceva l’idea di un Dio che volesse comunicare con l’uomo, e scegliesse di farlo attraverso due meccanismi che riflettono due dimensioni concentriche dell’uomo: la parola, la storia, il racconto, per parlare alla razionalità umana e lo spirito, l’intuizione, per parlare al nostro inconscio.

Vorrei ora cercare di indagare su quello che questo Dio sta cercando di dirci partendo dalla più ufficiale di queste comunicazioni: i Vangeli, l’annuncio della Buona Novella.

Cosa sono i Vangeli ? parlano alla nostra razionalità o al nostro inconscio ? Credo parlino a entrambi: sono razionalità in quanto racconti, in quanto documenti storici, sono intuizione perché li hanno scritti uomini inspirati, con un messaggio, una passione da comunicare.

Piccola premessa

Prima di iniziare vorrei esprimere chiaramente il mio punto di vista su Gesù di Nazareth e sul cristianesimo in generale. Quello che farò, sarà cercare conferme a questa tesi, o comunque elementi che analizzerò con questi occhiali. Mi sembra giusto, quindi, esplicitarli.

Non credo che Gesù sia stato un Dio incarnato, non più di quanto lo possa essere ognuno di noi. Non credo abbia fatto miracoli, se non quelli nelle corde di un bravo guaritore, non credo sia risorto fisicamente. Credo sia risorto come presenza, ricordo, come qualsiasi persona cara continua a vivere in chi l’ha amato. Non credo abbia voluto creare una Chiesa e non credo abbia voluto istituire l’eucarestia se non come ricordo di lui.

Credo ad un disegno divino, mi piace pensare a Gesù come persona ispirata che ha voluto comunicarci la sua, preziosa, percezione di Dio.

E, d’altra parte, credo che tutto quello che succede faccia parte di questo disegno, compresa la Chiesa, con i suoi sbagli e i suoi ravvedimenti.

Marco

Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.

(Marco 50-52)

Probabilmente Marco era quel ragazzo, che da giovane ha partecipato ad un evento straordinario. Uno straordinario momento di terrore. Non ci sarebbe stato altro motivo per inserire il particolare della presenza alla crocifissione di questo ragazzino, se non il desiderio di firmare il suo lavoro, di dire “io ero lì”.

Questo vangelo pare sia stato scritto dopo il 70 d.c., più di quarant’anni dopo i fatti che racconta, o forse dopo ancora. È il vangelo più antico, in parte gli altri due vangeli storici, quello di Matteo e Luca hanno copiato di qui.

Il Vangelo di Marco è lungo 22 pagine (pdf, traduzione CEI), si legge molto in fretta, e leggerlo è come maneggiare un antico vaso, frantumato e ricostruito mille volte, con inserti e materiali diversi.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

(Marco 20)

Quella sopra è la fine del racconto. Sembra dire che la Parola è centrale, ma, paradossalmente non si trova granché traccia del messaggio di Gesù nel racconto stesso. Sembra stato scritto con l’intento di inanellare alcuni fatti importanti, quasi un Bignami ad uso della comunità. È destinato a gente che sapeva già tutto, aveva solo bisogno di un manuale, un testo di riferimento, lo scheletro di un racconto che veniva fatto oralmente.

Lettura

Volevo provare a sintetizzare il racconto, ma è già talmente stringato e conciso che diventa difficile. Mi limito ad accennare ad alcuni aspetti che mi hanno colpito.

Gesù appare dal niente, l’unica notizia su di lui è che arriva da Nazareth. Il ritmo del racconto è molto concitato, succedono un sacco di cose già nella prima pagina.

Sembra che Gesù passi il tempo a nascondersi, a fuggire dalla folla che lo assedia continuamente per le sue abilità di guaritore. Sembra che lui però, consideri più importante guarire la gente dai mali interiori (Figlio, ti sono perdonati i tuoi peccati) che da quelli fisici, le guarigioni fisiche servono “affinché voi crediate”.

Ci sono molti passi assai poco comprensibili. Molte cose hanno un qualche senso col senno di poi, sembrano confermare la dottrina che maturerà in seguito la Chiesa, ma all’epoca non si spiegano. Aggiunte successive, probabilmente, come quando chiedono a Gesù perché i suoi discepoli non digiunano e lui risponde che finché lo sposo è presente si festeggia.

Quasi da subito i farisei (la Chiesa dell’epoca) cominciano ad accusarlo di nefandezze con la storia del sabato (perché raccoglievano spighe camminando) e il Nostro risponde che il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato. Curiosa espressione “figlio dell’uomo”. Alla terza pagina farisei e erodiani hanno già deciso di farlo morire. Da quelle parti erano tosti già allora.

A ritmo serrato Gesù si porta avanti col lavoro e dei tanti che lo seguivano ne scegli dodici (il salotto buono), è uno lo sbaglia, Marco crea la suspance da subito (“… e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.”).

Il racconto è infarcito di concetti dati per scontati, ma mai introdotti o spiegati. Si parla ad esempio di “bestemmie contro lo Spirito Santo”, ma cosa sia questo Spirito Santo non viene detto. Si parla di Satana, ma non ci viene detto chi è. È da notare che Satana è pochissimo presente nella Bibbia ebraica, dove non ha questo ruolo centrale di oppositore ufficiale di Dio. Solo nel nuovo testamento diventa protagonista.

Gesù si esprime in parabole, che è un bel modo di dire le cose. Racconta delle storie. Stranamente ci tiene a presentare la cosa come se fosse un linguaggio criptico, che può comprendere solo quello a cui viene spiegato. E infatti comincia a spiegare le parabole al suo salotto buono dopo averle dette a tutti. L’idea che mi son fatto è che Gesù presentasse davvero qualcosa di difficile da capire, talmente difficile che neanche i suoi discepoli, nonostante le spiegazioni, l’abbiano davvero compreso. A noi quindi è arrivato il meccanismo ma non il contenuto, rimpiazzato, quest’ultimo, da qualcosa di più banale, quello che i discepoli sono riusciti effettivamente a capire.

Comincia qui a parlare del Regno di Dio, che parte come piccolo seme e cresce, ma, a parte illustrarci il meccanismo di crescita non ci dice cos’è questo regno di Dio. Sembra comunque una cosa destinata a succedere in tempi brevi.

Episodi come quello dell’indemoniato lasciano perplessi. Il diavolo si fa chiamare Legione perché sono in molti lì dentro. Chiedono e ottengono, i demoni, di potersi insediare in una mandria di maiali lì vicino, e i maiali si buttano nel lago. Difficile dare un senso a questa cosa, salvo voler mostrare un Gesù che fa cose straordinarie (anche se poco sensate) e comanda su mondi oscuri. Di segno opposto, ma ugualmente incomprensibile è l’episodio della trasfigurazione.

Intanto gli apostoli cominciano ad andare in giro per conto loro, a predicare e guarire e tornano da Gesù a raccontare com’è andata. Arriva tanta gente, moltiplicano pani e pesci per sfamarla. I farisei fanno notare che non si lavano le mani prima di mangiare e Gesù fa loro notare che il loro rispetto delle regole è più formale che sostanziale. Alcune situazioni sembrano andare oltre le capacità degli apprendisti guaritori e Gesù spiega che «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera». Sia questa catalogazione dei demoni che la cura vengono lasciati sul vago.

A questo punto iniziano le beghe tra i discepoli su chi deve primeggiare, non sono ancora finite ora. Gesù prova a dire che il primo deve essere il servitore di tutti, ma deve essere una delle tante cose che non son state capite.

Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile.

Altro passo strano: non viene spiegato questo scandalo in cosa consiste, ne come fanno una mano, un occhio, un piede a provocarlo. Però interessante questa menzione di un luogo di pena eterno e molto caldo. La Geènna era semplicemente una discarica vicino a Gerusalemme, paragona quindi l’inferno ad un immondezzaio.

L’intervista

  • Grazie di aver accettato.
  • Figurati, mi è sembrata una cosa interessante. Non capita spesso.
  • Parliamo di Marco. L’hai conosciuto ? L’ha scritto davvero lui questo testo ?
  • Era un ragazzino che seguiva il nostro gruppo. Non mi ricordo di lui, erano in tanti. È stato, come tanti, scioccato da tutto quello che è successo: il passaggio brusco da un momento di euforia alla tragedia. Stavamo costruendo un bel momento. Un modo di vivere diverso, che dava un senso alla vita, un posto in cui diventava più importante il senso dello stare insieme rispetto ai drammi, alle pulsioni dei singoli. Ma questo si è scontrato con quelli che di mestiere dicevano agli altri come si vive. Si sono sentiti defraudati del loro potere e ci hanno fermati.
  • Beh, non ci sono riusciti, in fondo.
  • Ci sono riusciti eccome. La Chiesa di oggi è una perfetta replica di quella di allora. Comunque, tornando al testo, l’ha inizialmente scritto lui, ed era giusto una serie di note che usavano nella comunità come traccia per raccontare quello che era successo. In pochi avevano davvero iniziato a capire di cosa parlavo, ma sentivano che c’era qualcosa di importante e avevano voglia di diffonderlo. Alla fine il racconto si è impregnato di quello che via via hanno creduto di capire.
  • Quindi è da buttar via ?
  • Niente è da buttar via. Riflette comunque la storia di un pensiero, tutto sommato pieno di buone intenzioni. Certo, di quello che ho provato a insegnare c’è rimasto poco.
  • Facevi davvero miracoli ?
  • Guarivo la gente, ai tempi i dottori non erano granché bravi.
  • Ma i modi in cui li guarivi sono oggi incomprensibili alla scienza.
  • La medicina di oggi ha esplorato alcune strade, impensabili allora, ma ne ha accantonate altre, che pure erano promettenti. Credo che, per paura dei ciarlatani, abbia buttato un po’ il bambino con l’acqua sporca. L’essere umano ha capacità immense di autoguarigione, capacità che la medicina, finora, non ha analizzato granché. E ci sono anche potenzialità per una persona di guarirne un’altra. Non siamo organismi singoli, neanche fisicamente, siamo un tessuto. Ci influenziamo l’un l’altro. Non noti mai che vicino a certe persone “stai bene”? Questa capacità di guarirsi e di guarire può essere incrementata, la meditazione è un elemento fondamentale, ad esempio, come lo star bene insieme, anche a fare festa.
  • Ma tu queste cose dove le hai imparate ?
  • Ho viaggiato parecchio, soprattutto verso est. Da quelle parti avevano già fatto molta strada in questo senso. E c’erano gruppi dalle mie parti che approfondivano quel tipo di cultura.
  • Gli Esseni ?
  • Anche. Non sono mai stato parte di nessun gruppo, è un ambito in cui il progresso è sempre molto individuale, ma li frequentavo, sì.
  • Sei davvero risorto ?
  • Direi di sì, visto che sto parlando con te …
  • No, voglio dire fisicamente
  • Quale delle due cose pensi sia più importante ?
  • Mmm. Perché pensi che la Chiesa abbia insistito così tanto su questo punto ?
  • La morte fa molta paura se ti identifichi completamente con la tua individualità. Non tanto quella fisica, anche quella mentale, le tue percezioni. Noi non vediamo le percezioni, i pensieri, degli altri. Vediamo la loro fisicità e deduciamo i loro pensieri basandoci sulle espressioni dei loro corpi. Quando i corpi cessano di muoversi e si disgregano non sappiamo più cosa dedurre rispetto ai pensieri. Stiamo solo guardando dalla parte sbagliata. Di fatto siamo circondati da resurrezione da tutte le parti. I semi che marciscono e fanno rinascere le piante, gli animali e gli uomini che fanno figli, le idee che si mescolano e ne fanno nascere di nuove.
  • E quest’idea di Dio Padre come ti è venuta ?
  • Se inizi a percepire il mondo come una cosa bella, ricca. Se cominci a cogliere il tessuto di cui parlavo prima, le relazioni tra le persone, tra le cose, questa magia che respiriamo, non puoi né pensare che venga fuori dal nulla, né che non abbia un fine buono. Il minimo che possiamo pensare di questo assoluto è che abbia un senso.
  • Hai visto Matrix ? E’ un altro tipo di spiegazione
  • Sì, è quella di Kant, per altro. Ma non nega la mia, se ci pensi. Da una parte le macchine sono state create da qualcuno, quindi, indirettamente, torniamo al concetto di Creatore, e poi il fatto di vivere in un mondo illusorio è esattamente il centro della mia predicazione: smettere di percepirsi come individualità e accorgersi di quanto invece siamo parte di un organismo è la vera pillola rossa.
  • Bene. Grazie della chiacchierata. Posso invitarti a proseguirla con i prossimi vangeli? Ci sono tanti altri aspetti che vorrei affrontare.
  • Molto volentieri.

Franza o Spagna

La prima volta che ho provato a guardare la puntata di Report sul Russiagate mi sono addormentato a metà. Ci ho riprovato qualche giorno dopo, stavolta prendendo appunti, per capirci qualcosa. Il risultato è questo schemino fatto con Xmind. Già solo il colpo d’occhio dà l’idea della quantità di informazioni: ha più personaggi di un romanzo di Garcia Marquez.

L’idea di scrivere questo post nasce da una riflessione sul mezzo televisivo, sul modo di raccontare un’inchiesta di questo tipo, e, più nel merito, sulle aspettative, reazioni, che ha generato.

Il modo

Partiamo dalle modalità della narrazione.

Ranucci è molto bravo. Il racconto scorre liscio e insieme cattura. Mentre i vari fatti vengono sciorinati riesce a creare un senso di suspense che ti tiene incollato al televisore, aspettando la rivelazione epocale, quella del “tutti in galera”, quella che fa scoppiare l’indignazione. Il fatto è che poi non arriva, o, almeno, non è del tipo che ti aspetti. Ma su questo ci torniamo.

Ranucci è bravo anche perché si rende conto che il racconto è complesso. Fa frequenti ricapitolazioni, piccoli riassunti di quanto si è detto fino a quel momento. “Cosa abbiamo capito finora”. E’ bravo perché riesce a dosare bene la narrazione, ad alternare lo scatenare emozioni, con la presentazione di fatti, di relazioni.

Detto questo, personalmente, preferirei un media diverso dal video per digerire questo tipo di informazioni. Soprattuto in casi di questa complessità. Avrei gradito, ad esempio, che lo schema del racconto che ho faticosamente provato a ricostruire, mi fosse stato dato all’inizio, dal giornalista stesso. Che i tempi del racconto non fossero quelli del narratore, che incalza e ti guida lungo un suo percorso, ma fossero i miei, quelli della mia curiosità. La possibilità di scantonare, seguire i rivoli che di volta in volta mi sembrassero più interessanti. Insomma, penso che un sito web, con i link ai vari materiali di approfondimento, una rappresentazione schematica della struttura dell’argomentazione, sarebbe stato più adatto.

Dopodiché, se esistesse, e magari esiste pure sul sito di Report, non sono andato a guardare, non avrei avuto né il tempo né la voglia di dedicarmi a quell’approfondimento.

E allora? Allora, secondo me, siamo semplicemente di fronte a un’altra forma di delega. Come deleghiamo ai politici professionisti la responsabilità di prendere decisioni per nostro conto, deleghiamo ai giornalisti quella di approfondire gli argomenti, di presentarci il risultato della loro elaborazione. La loro opinione. Si ha un bel parlare di fatti, ma il semplice presentare certi dati e non altri, di inanellarli in un certo modo e non in un altro costituisce un’interpretazione. E noi scegliamo certe fonti, certe interpretazioni, e non altre, sulla base di una decisione a priori, necessariamente dettata dalla nostra emotività.

Forse, in tutto questo, l’unica euristica possibile sarebbe di non alzare i toni. Di non essere convinti, qualsiasi idea abbiamo, che sia necessariamente quella giusta. Di avere il massimo rispetto per le conclusioni a cui sono arrivati altri e, comunque, di smascherare con forza i manipolatori, gli urlatori, quelli che, subdolamente, orchestrano ad arte i flussi di informazione per convincere i più deboli delle loro idee.

I reati

E qui cominciamo ad entrare nel merito del servizio di Report, che anche di questo parla.

Ci sono due filoni importanti nel racconto. Due potenziali reati che vengono in qualche modo smascherati: la violazione delle regole di finanziamento dei partiti, e un vero e proprio tradimento della nostra nazione (alla faccia del sovranismo): viene permesso ad esponenti di altri paesi di influenzare la nostra vita politica mediante finanziamenti e know how di manipolazione delle masse.

La tesi del racconto di Report è che ci sia una enorme massa di denaro che finanzia partiti di estrema destra, principalmente in Europa. Tra questi partiti la Lega e, più marginalmente, FdI hanno un ruolo di spicco. Questo denaro parte da Malofeev, un oligarca russo amico di Putin. Inizialmente gli aiuti vengono devoluti direttamente, poi, a causa di sanzioni dell’Unione Europea che ha individuato la cosa, attraverso fondazioni di stampo tradizionalista religioso.

Queste fondazioni sono particolarmente adatte ad evitare la tracciabilità di questi aiuti. Infatti, pur tenendo i bilanci in chiaro, se A, B, e C finanziano la fondazione e X, Y, Z ne ricevono aiuti, non si può affermare che l’oligarca B finanzi il partito Z, se A e C sono finanziatori in buona fede e X e Y sono persone bisognose di aiuto.

Perché abbiamo questo tipo di leggi

Perché il legislatore si è preso la briga di regolamentare il finanziamento dei partiti? Semplicemente per evitare che chi ha più denaro possa influenzare la cosa pubblica maggiormente rispetto a chi ne ha di meno, vanificando, in questo modo, il concetto di voto democratico. Il politico iper finanziato avrebbe un debito verso il donatore, sarebbe ricattabile, e questo di fatto metterebbe il potere nelle mani del finanziatore. Ovviamente la legge non può fare molto per evitare questo, ma il limite alla quantità di donazioni, e, soprattutto, la trasparenza, possono mitigare questa inevitabile degenerazione del meccanismo.

Quando poi il finanziatore è uno stato estero il problema si complica. Putin che, anche se indirettamente, finanzia un politico europeo può influenzare scelte strategiche di politica internazionale, ad esempio le sanzioni contro la Russia, e, soprattutto, può orchestrare la perdita di coesione dell’unione stessa.

E quindi, dopo la puntata di Report, era logico che la Lega perdesse consensi ?

Sfogliando i vari social all’indomani di questa puntata di Report era estremamente frequente imbattersi in persone stupite che “non succedesse niente”. La frase più ricorrente era “in un paese normale la Lega passerebbe al due per cento”. Molto sottolineata era l’affermazione di Murelli di aver scelto la Lega per questa infiltrazione perché è un ambiente culturalmente debole.

Io conosco a stento cinque o sei persone che dichiaratamente votano Lega. Almeno tre di loro sono professionisti di successo, laureati. Gente che si informa e legge anche molto. Se devo dare un significato a quel culturamente debole, se devo identificare qualche tratto comune in queste persone, direi che sono animate da un certo egoismo. Non un tratto negativo in sé, piuttosto una diffidenza verso quelli che egoisti non paiono. Potremmo definirla una tendenza a voler smascherare l’ipocrisia. Comunque persone che guardano vicino, nel tempo e nello spazio, che privilegiano i problemi pratici rispetto ai sogni. Persone che guardando ai grandi ideali vedono più facilmente il tornaconto di qualche protagonista, rispetto al potenziale di miglioramento della società. Insomma, penso sia solo una questione di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.

Mi chiedo quanto queste persone possano interiorizzare le leggi che riguardano il finanziamento pubblico o il rischio che la politica venga eterodiretta.

La reazione che immagino a queste regole è il “Franza o Spagna purché se magna”. Se sei diffidente sul fatto che qualcuno possa davvero fare politica per gli interessi collettivi. Se sei diffidente sul fatto che lo stato di cui fai parte, o le alleanze di cui il tuo stato fa parte, siano davvero una proiezione dei tuoi interessi, se non percepisci la spinta ideale che sta dietro a queste cose, perché ti dovresti preoccupare della violazione di quelle leggi ?

Il bello è che chi la pensa in questo modo ha ottimi motivi per farlo.

C’è un’innegabile distanza tra la classe politica, di qualsiasi appartenenza politica, e la gente comune. C’è un’innegabile mancanza di trasparenza. Giustificate o no, ci sono innegabili manovre di palazzo dietro a qualsiasi decisione, soprattutto quelle riguardanti la politica internazionale. La sensazione, rispetto alla politica, del cittadino comune è, quando va davvero bene, uno “speriamo sappiano quello che fanno”, “speriamo agiscano davvero per il nostro interesse”. Quanto ognuno di noi si sente partecipe, o anche solo informato, delle alleanze tra l’Italia e gli altri paesi ? Quanti di noi non hanno il minimo dubbio che in qualche misura qualsiasi governo venga manovrato da interessi economici o geopolitici ?

Comunque si scelga di percepirlo è innegabile che quel bicchiere pieno non è. Se è questa la definizione che si può dare ad ambiente culturalmente debole non credo sia esclusivo appannaggio degli elettori della Lega.

La cura per questi problemi, il riavvicinare i cittadini alla politica, non può che passare per una maggior partecipazione, per una maggior democrazia interna e dialogo all’interno delle forze politiche. Un partito o movimento sano dovrebbe poter attirare consensi perché “lì mi ascoltano”, “lì posso dire la mia, e discuterla”, “lì mi fanno capire le cose”.

Ad oggi non vedo germi di questo rinnovamento, ma non dispero (io i bicchieri li vedo sempre mezzo pieni).

Leopolda – ritorno

Alla fine questo Auto Park Hotel non era neanche male. A parte la doccia che non si chiude bene e allaga il bagno. Mi sono alzato presto. Ho fatto un minimo di editing e pubblicato gli appunti di ieri. Bello lavorare su queste scrivaniole delle camere d’albergo. A colazione c’erano anche le uova strapazzate, niente bacon, quello è raro trovarlo. C’erano degli invitanti croissant, ma con la dieta chetogenica non ci stanno proprio: mi è costato non toccarli. Una comitiva di ragazze orientali rumoreggiava per le scale. Sorridono sempre.

Il treno per Milano parte alle 11, farò ancora un salto alla Leopolda, almeno per vedere questo maxi schermo in piazza. Non ho capito a che ora parla la Bellanova, mi sarebbe piaciuto sentirla. Immagino si troverà il video in rete, in ogni caso.

Siamo qui, lo schermo in piazza non c’è. Sta parlando la Boschi: chiedono soldi. Prima di farlo, secondo me, dovresti dire come li spenderai, quanti te ne servono, come darai trasparenza di quanti ne avrai raccolti e di come li avrai spesi.
Ora parla la millennial dello smartphone, ha un biglietto in mano e parla a braccio, ma il livello del discorso non sembra migliorato.
Posso fermarmi ancora una decina di minuti. Mi piace la gente intorno, forse si meritano di più.

A casa. Piove e fa molto più freddo che a Firenze.
Visto Renzi da Fazio: ripete le stesse battute dette alla Leopolda. Alla fine sembra che la politica/spettacolo sia destinata ai cretini. Forse è normale: la politica non dovrebbe essere spettacolo o tifo.
Alla fine ho deciso di iscrivermi. Cacciato 20 euro. Non sono d’accordo con IV su alcune cose, come l’avversione senza alternative a quota 100 e questa insistenza sul problema denatalità in Italia. Non mi piace poi che manchi una possibilità di partecipazione a un dialogo via Web. Comunque nel complesso sono ancora convinto che per il momento sia la scelta migliore. Un piccolo investimento per il futuro di tutti: spero serva.

Il commento migliore che ho visto sulla Leopolda. Condivido al massimo.

Qualche foto fatta nel giro

(Il grandangolo del P30 pro è davvero notevole)

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Leopolda 10 – Il sabato

Migliaia di persone in coda.
Sento dire da qualcuno, un po’ illuso, qui di fianco, sta parlando con qualcuno al telefono: “se per caso ci fanno entrare … “. La maggior parte sa benissimo che non entrerà. Eppure restano qui. Forse perché sperano in qualche forma di miracolo, forse perché ormai sono qui, molti arrivati dai posti più disparati d’Italia, e non sanno bene che altro fare. Ma molti, credo, rimangono qui per esserci. Perché è proprio questa coda l’evento. Un modo di dire “c’ero anch’io”, una dose addizionale di voto.
Qualcuno si lamenta dell’organizzazione. “ma allora questa pre-registrazione a cosa serviva?”
Già.
Secondo me Renzi ha puntato proprio su questo: voleva queste persone qui in coda, voleva sfruttare l’impatto mediatico di tutta questa gente assurdamente in attesa di entrare in un posto che non lo può contenere per un banale fatto di incomprimibilità fisica. Leader spregiudicato che usa i suoi eserciti come carne da canone per una giusta causa.
A proposito: è appena passato uno col microfono e il cameraman che lo riprende e dice ai suoi telespettatori “Ecco, vedete, la Leopolda inizia da qui”. Matteo ha ottenuto il suo scoop.
Le Troup sono diverse. Ho girato l’angolo e ora si vedono, intervistano la gente in coda.
La gente continua a sbarcare dai mezzi e guarda stupita la coda. Qualcuno fa il furbetto e prova a inserirsi a metà, nessuno se ne preoccupa, la maggior parte si incammina diligentemente verso l’angolo, ancora non immagina cosa c’è dietro.
Sono arrivato al cancello del parco, ovviamente di entrare davvero nella vecchia stazione neanche a parlarne. Incredibilmente il Pass “Vincenzo” di ieri è servito a evitare un prezzo di coda. Molti entrano e se ne vanno via appena si rendono conto di essere stati dirottati in un cortile col maxi schermo (neanche tanto maxi, per dirla tutta).
Non so quanto posso resistere qui in piedi: anche il gradino di ieri è già occupato. Almeno, per il momento, non piove.
Hanno messo dei gabinetti chimici, forse dopotutto non era di cane la puzza di piscio che sentivo ieri.

Riinizia

All’altoparlante una ha detto: “Buon giorno a tutti quanti, se ci accomodiamo cominciamo”. Risata generale, amara.
Trasmettono frammenti del discorso di Renzi di ieri, sta dicendo che il fatto che la Leopolda sia troppo piccola per l’evento dimostra che c’è un popolo che non ha paura di dire quello che vuole. In effetti non c’è molto modo di dirlo. Al momento vorrei una sedia.
Zaffate di marijuana anche qui. La prosa mi viene già più scorrevole.
La ministra Bonetti presenta un tipo che ci parla del problema, secondo lui, più grande dell’Italia: quello che facciamo pochi figli.
Ma è davvero necessario incrementare la natalità? Non siamo già troppi? Perché guardare solo all’Italia?
Se ci sono tanti giovani che non studiano e non lavorano il problema non è che tarderanno a fare figli, il problema è che abbiamo una massa di gente che fa una vita di merda.
Ok, un punto giusto l’ha detto: la povertà delle famiglie influisce sull’educazione dei figli e quindi, in definitiva, sulla massa di persone non realizzate.
Ma non sono d’accordo con le misure che sta proponendo: asili nido e unità abitative per i giovani. Le misure per curare tutti questi problemi secondo me sono quelle che favoriscono l’occupazione: istruzione adeguata, infrastrutture, tasse basse etc…
Alla fine ‘sta Bonetti mi ha intristito.
Perché dare dei soldi alle famiglie per migliorare le attività educative? Dalli alla scuola.
Partono i tavoli di lavoro. Per quelli dentro. Mi sarei aspettato che prevedessero qualche forma di partecipazione anche per quelli fuori (o, ancora meglio, via internet) ma sembra di no. Renzi si scusa. La gente esce.
Mi sa che vado a farmi un giro per Firenze.

Ripresa

E rieccoci qui nel pomeriggio. Tra un po’ dovrebbero mostrare il simbolo del nuovo partito. Intanto ci sono interventi dei ggiovani. Sta parlando il sindaco di un paesino calabrese che urla. Dice che hanno fatto diventare il comune digitale, ma non ho capito cosa vuol dire.
Prima c’era una che ha detto che siccome era una millennial leggeva il suo intervento dallo smartphone. Ma dove li prendono?
Parla ora un imprenditore toscano. Sembra quella canzone di Bennato, festa di piazza.
Saranno anche bravi, per carità, ma quando parli a slogan da un palco sembra sempre un po’ tutto banale. Questo parla male del reddito di cittadinanza.
Ed ecco un ingegnere informatico. Sindaco di non so cosa, ma ha vinto contro uno della lega e ci dice che la lega può essere battuta. “quand’è che la politica comincerà a parlare dei problemi delle persone?” mmm … originale!
Questa mi piace! Critica d’arte se ho capito bene. Dice che non ha votato per anni e ora ha incontrato Matteo sulla via di Damasco (non l’ha detto … è mia, ma il senso era quello). Dice che la sfida di Italia Viva è riportare al voto quel 40% che ha smesso. Ci sta. Uhh brava, parla della sovrappopolazione e dice di non enfatizzare troppo il problema della de-natalità italiana. Brava: peccato non aver capito come si chiama.
Ora c’è uno che legge banalità. Le banalità lette sembrano ancora più banali. Tra l’altro c’è l’ha con la piattaforma Rousseau credo, ha detto che non bisogna basarsi su piattaforme e algoritmi inventati (per distinguerli dagli algoritmi che si trovano in natura, direi).
Si sente un uomo vero e vivo.
Se questi sono i giovani preferirei vedere gente un po’ più attempata.
Chiedono soldi per il partito. Se in cambio mi dessero una sedia, o, mettiamo, un giornale per sedermi per terra, qualcosa gliela darei anche.
Ora parla uno che non ha la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi dell’Italia. Sono tentato di credergli.
Siamo all’ultimo intervento di ‘sto strazio.
Io, che non sono un millennial, ho attaccato un power bank al mio smartphone, ‘chè si stava scaricando la batteria.
C’è Matteo che presenta il simbolo della nuova casa. Ma la prende lunga.
Dialogo a distanza con Salvini in piazza San Giovanni: “questa casa è a prova di ruspa”, pare che Salvini stia sparando insulti verso Renzi, ma non si erano sfogati da Vespa?

Il simbolo poi è quello che avevo scelto io: ma non è che sia ‘sto granché, preferivo quello di makkox. Bravo il Matteo a creare suspense con una menata del genere.

Bene, me ne sono andato, magari ripasso domani mattina a vedere che fanno, mentre aspetto il treno, ma posso cominciare a tirare qualche somma.
Io il voto glielo do. Non so se mi iscrivo al partito, voglio guardare bene questo manifesto dei valori che hanno elaborato, ci sono un paio di cose che non mi convincono. In ogni caso farei entrambe le cose (votarli e iscrivermi) per il motivo che accennavo nell’altro post: la mancanza di alternative.
Insomma sono un po’ deluso.
Uno dei motivi della delusione è questo insistere sulla quota 100 senza prevedere soluzioni alternative, ma di questo ho parlato ieri. L’altro aspetto deludente è che Italia Viva si presenta come un partito decisamente verticistico, con scarsa partecipazione dal basso. Renzi, anche se dice il contrario, non vuole una base con delle idee, delle proposte, vuole una clack, un serbatoio di voti e di donazioni.
Non puoi creare un partito nel 2019 senza prevedere un meccanismo di partecipazione via rete, questi comitati civici hanno solo connotazioni locali, potranno far emergere temi di interesse locale (che come tali saranno ignorati). Gli input dal basso che siano di natura generale rischiano inevitabilmente di essere filtrati. Faccio un esempio molto estremizzato che mi sembra renda l’idea: supponiamo che ci sia qualcuno in un comitato che ha una proposta che tendenzialmente sarebbe accettata da una persona in ogni comune. Sarebbe una proposta buona, di fatto condivisibile da un migliaio di persone. Ma se l’organizzazione ha struttura territoriale un’idea del genere non ha possibilità di emergere in qualunque comune sia presentata, perché risulterebbe supportata solo da una persona.

Insomma, si affannano a denigrare la soluzione 5S, ma credo che sull’aspetto partecipazione la gente di Grillo sia decisamente più avanti. Con tutti i rischi che la cosa comporta: se in una discussione tra un professore e una mamma no vax vince la seconda c’è qualcosa che non va.

La democrazia rappresentativa immagino sia nata proprio pensando a problemi come questo. Facciamo governare pochi, scelti, perché la massa è ignorante. Ma oggi ci sono fasce sempre più ampie di persone che ignoranti non sono, sono preparati e anche desiderosi di intervenire nel dibattito pubblico. Devi trovare il modo di farli partecipare, devi dargli dei bottoni da premere. Come distingui gli ignoranti dagli altri? E anche gli ignoranti non hanno diritto di esprimere almeno le loro necessità?

Ecco, da un partito che nasce oggi mi aspetterei risposte a queste domande.

Verso la Leopolda

Chivasso Torino

A Torino ci siamo arrivati, il treno da Chivasso era pieno come un uovo, quello delle 9:43 era in ritardo e quello successivo accumulava i passeggeri di due treni. Quasi due ore di attesa per il prossimo, ma se hai tempo è comunque bello girare in treno, le stazioni hanno sempre un loro fascino. Da Feltrinelli stavo per comprare un libro sulla dieta Keto, sembrava bello. Ľho sfogliato un po’, ma arrivato alle bacche di Akai ľho posato. Mi aveva già insospettito, devo dire, la salsa di fagioli. Difficile tradurre le culture, ancora oggi: non siamo ancora globalizzati come sembra.
Ripensandoci, le stazioni hanno un certo fascino, ma sono anche parecchio scomode, se devi passarci due ore, almeno quella di Torino Porta Nuova. Le uniche panchine, poche, sempre affollate, fredde, sono su un lato della stazione, lontane dai tabelloni con gli orari. C’è una lounge per i Freccia Rossa, ma devi avere le loro carte pregiate. Io viaggio con un Italo, per cui niente. Se sei un fumatore, poi, non puoi stare neanche sulle panchine, benché siano praticamente all’aperto: mi sembra un inutile infierire sulle scelte individuali.
E siamo partiti per Milano, treno mezzo vuoto, ma magari si riempie più avanti. Va a Venezia. Due file più avanti c’è una famigliola attempata che mangia roba da delle buste McDonald’s. Non parlano italiano, una lingua latina direi, lineamenti da colombiani. Arriva l’odore del junk food e mette fame, in effetti è ora di pranzo.

Perché

Non so perché vado alla Leopolda: quelle decisioni prese d’istinto. Mi è sembrato bello/giusto, ma in effetti non sapevo, e non so, cosa aspettarmi esattamente. C’è l’idea di fondo di assistere, forse partecipare, a qualcosa di importante che nasce. Il mio fiuto mi dice che Italia Viva sfonda. Non è una speranza, c’è anche quella certo, ma è più un calcolo inconscio. Se provo a razionalizzarlo mi viene da dire che non ci sono molte alternative. Da una parte non abbiamo una sinistra seria. Credo che il PD non lo sia più, pensiero da elaborare in altra sede, dall’altra la destra moderata è in disfatta, spiazzata dall’ondata sovranista. In queste condizioni per chi vuole un’offerta politica pragmatica (evito il termine moderata perché mi sembra sottrarre senso anziché darne) Renzi rappresenta un buon compromesso. Serve un’offerta che tenga in conto anzitutto i problemi economici del paese, della fattibilità delle cose prima che della loro purezza ideale, e che, contemporaneamente, tenga conto dei bisogni delle fasce più deboli, per tenuta sociale prima ancora che per spinta etica o ideologica.
Ho accettato fin dall’inizio di venirci da solo, ma ho provato ad invitare qualcun altro, e, devo dire, le reazioni mi hanno spesso sorpreso. Praticamente tutte le persone a cui ho parlato dell’idea di venire qui, o, in generale del mio appoggio a Italia Viva, hanno manifestato non indifferenza, ma quasi odio nei confronti di Renzi, spesso con motivazioni molto diverse tra loro. Spesso opposte. Le persone che giudico legate a un’idea nostalgica della sinistra gli rimproverano cose come il jobs act, la distruzione del feticcio dell’articolo 18. Molti gli rimproverano il fallimento del referendum, l’averlo personalizzato troppo, la sua arroganza, la scarsa coerenza, la scissione col PD.
Secondo me Renzi è stato vittima di una campagna meditatica negativa, in buona parte immeritata.

Milano

Cagata con sciacquata di coglioni per lo sciacquone che si attiva a sproposito. Dire sensazione sgradevole non rende neanche lontanamente l’idea. Contenitore per le mascherine copri-sedile vuoto, ma d’altronde non c’era neanche il sedile: duro marmo sporco di piscio, 3 dei 4 distributori di sapone fuori servizio, come due dei tre varchi automatici per uscire, due dei quattro cessi con la porta divelta, e per questo servizio si paga anche 1 euro. Almeno c’era la carta igienica. E c’erano i cosi della Dyson che ci ficchi le due mani e te le asciugano, fantastici, ne vorrei uno a casa. Comunque è ufficiale: Milano Centrale è fin peggio di Porta Nuova. Ci vorrebbe così poco …

Quota 100

Intanto mi ha scritto Renzi, con un programma di massima dell’evento. Tra le altre cose annuncia una battaglia, che ammette simbolica, contro quota 100, i soldi vorrebbe darli alle famiglie. Con tutto il rispetto per le famiglie non sono d’accordo.
Bisogna arrivare a 63 anni, mi sa, per capire che il lavoro dopo i 60 anni ha bisogno di soluzioni diverse da quelle puramente economiche proposte dalla Fornero. Lo so, sembra in contraddizione con quello che dicevo poche righe sopra. Ma bisogna trovare una soluzione diversa dai due semplicistici “a casa chi può, e chissenefrega dei conti dell’INPS” e “non rompere i coglioni e lavora fino a 70 anni”.
La cosa vale per tutti i tipi di lavoro, non solo quelli usuranti. Ad una certa età ogni lavoro è usurante. È usurante andarci al lavoro, guidare, alzarsi presto, rispettare orari, non poterti concedere un sonnellino dopo pranzo anche quando diventa più difficile digerire qualsiasi cosa, non poterti permettere una dieta più adatta alle condizioni di salute sempre più delicate, non poter dedicare una parte delle ore di sole a qualche sana attività fisica. Vale per tutti, certo, ma più invecchi e più di queste cose hai veramente bisogno, per sopravvivere, non sono più un lusso
Più avanzi con l’età, poi, e più diventa importante dedicare parte del tuo tempo a cose che contano, che senti importanti.
Dopo i 60 anni credo che i lavoratori (parlo del lavoro dipendente) si dividano in due categorie: quelli che la sorte e/o le capacità hanno lasciato in una situazione attiva e quelli che, per vari motivi hanno deragliato su qualche binario più sofferto, più passivo. Sono entrambe situazioni problematiche. Salvo rare eccezioni se dopo i 60 anni sei in un ruolo decisionale sei nel posto sbagliato. I tuoi pensieri sono sclerotizzati, le tue conoscenze sono sorpassare, sicuramente non hai avuto il tempo di tenerti aggiornato sulle novità del tuo settore e rischi di scartare decisioni che sarebbero innovative perché ragioni con un dizionario del secolo prima. Se sei in un ruolo passivo hai, in genere, un bagaglio di esperienze troppo grande per non mettere in discussione continuamente tutto quello che ti viene chiesto di fare. Non c’è storia: a una certa età l’unico, ma non è assolutamente poco, valore che puoi avere per un’azienda è il bagaglio di conoscenze storiche che ti porti dietro. Conosci meglio di altri, probabilmente, prassi/metodi, storia delle scelte fatte, degli sbagli fatti, hai metabolizzato le conoscenze del settore in cui operi, hai praticamente tutto quello che servirebbe a formare nuove risorse che entrano. Devi uscire gradatamente, sganciarti, lasciare, un po’ alla volta, posto a chi resta, o a chi sta entrando. Credo sarebbe necessario, in pratica, prevedere orari gradatamente ridotti e più opportunità di telelavoro per i lavoratori anziani. A 58 anni lavori un ora in meno al giorno e fai un po’ di telelavoro, a 67 lavori un’ora al giorno da casa. Il costo dell’operazione bilancia quello che si spenderebbe mandando la gente a casa a 62 anni, ma sarebbero soldi molto meglio spesi.

La coda

Arrivare quasi tre ore prima non è servito. Sono riuscito, ad un certo punto, a dare una sbirciata dentro e l’ambiente è veramente grande, qualcuno diceva che c’era spazio per 6000, qualcun altro 20000 persone, ma evidentemente eravamo molti di più.
Una coda con un gusto strano. Ne ho viste tante di folle, questa era particolare. Avevano negli occhi, non saprei come definirla, voglia di partecipazione forse. Qualcosa di indistinto comunque, quasi l’attesa di un messia. Molta gente sola, tutti composti. Ricorda un po’ le adunate religiose, penso a Taizè, immagino questi siano qui con l’idea di partecipare alla costruzione di un mondo migliore, o solo per essere presenti a qualcosa di singolare. Certo anche voglia di appartenenza, in questo non è diverso dalle adunate calcistiche, o dai concerti.

Cortile e maxi-schermo

Alla fine non si entrava proprio. Ci hanno dirottati verso un cortile di fianco alla stazione, c’è un maxi-schermo. Il signore di fianco a me sta dicendo alla moglie “non ho capito cosa dobbiamo vedere”. Sono di Roma. Prima ho incrociato gente di Milano, evidentemente molti vengono da lontano.
Ci hanno dato un pass da apprendere al collo, sul mio hanno scritto “Vincenzo”, troppa fatica metterci anche il cognome.
La moglie del tipo di prima sta leggendo ad alta voce la mail di Renzi, il Verbo.
Sono seduto su un gradino c’è puzza di piscio di cane.
Lo schermo trasmette immagini di Renzi che fa un bagno di folla. Forse non messia, ma al papa somiglia.
Sta dicendo in un monologo che è ora di smetterla coi monologhi dei politici. Bah.
Certo l’organizzazione non è il loro forte. Hanno presentato una, che è sul palco, che ha padre italiano e madre curda e ora che c’è il collegando con kobane c’è una che parla curdo, uno che traduce da curdo in inglese e uno che ritraduce da inglese a italiano, ma non potevano usare quella di prima e saltare l’inglese?
Non parla un bell’inglese Renzi, meglio di Di Maio probabilmente, però si traduce da solo.

Per andare da Novoli al centro di Firenze c’è un tram. La linea T2. Se chiedi indicazioni per sapere dov’è la fermata ti rispondono “lei vuol dire la tramvia”. Al secondo che me l’ha detto ho chiesto la differenza tra un tram e una tramvia e mi ha risposto: “qui a Firenze chiamiamo tram i pullman e tramvia quello con le rotaie”, giuro.
Camminare la sera per Firenze è un susseguirsi di zaffate di marijuana. Ma tanta. Forse la passa il comune.
All’uscita dalla Leopolda ho chiesto a una delle poliziotte lì fuori se il tram lì davanti andava verso Novoli. Ora sicuramente mi sbaglio, ma ho avuto la netta impressione che fosse incerta sulle gambe, che si sforzasse di tenere la faccia seria e che parlasse a stento, giurerei anche di aver sentito una delle zaffate di cui sopra mentre parlava. Mi ha risposto “Mi dispiace non posso aiutarla”. Mah …