C’è una velocità giusta.
Devi calcolare l’inerzia del portone, l’angolo che deve percorrere, la direzione e la forza del vento, e dare lo stratto iniziale. Sono poi permessi pochi interventi correttivi: appoggi la mano sulla superficie in movimento e opponi resistenza fino a farla rallentare alla velocità corretta. Bisogna fare in modo che, quando il dente della serratura viene a contatto con la sua controparte fissa, abbia ancora l’energia appena sufficiente a scavalcare la molla. A quel punto si deve sentire solo il click del dente che ritorna in posizione di riposo e il portone non deve sbattere contro il montante.
Non so se faranno mai delle olimpiadi di “Chiusura del portone senza sbattere”. Nell’eventualità potrei partecipare e piazzarmi anche bene. Direi almeno una medaglia di bronzo. Da incollare al portone.
È un’arte. Non so se possa passare per Zen, ma richiede una concentrazione totale su una cosa che si sta facendo. Una cosa banale, almeno finché non diventi degna di gare internazionali.
Lo Zen, nella pratica che può percepire osservatore esterno, riguarda cose del genere: se stai mangiando mangia, se stai camminando cammina, quando non addirittura lo stare seduti a guardare un muro. Il succo, la cosa interessante, avviene dove non può essere osservata da nessun altro che il praticante. Succede moltissimo, in effetti, ma non lo si può raccontare.
Tranne che con degli stratagemmi: favole, poesie, indovinelli, urla, schiaffi, lanci di oggetti. Qualsiasi cosa porti la mente a cambiare registro, a finire in un altro posto e dire: “Ecco !”.
Una delle favolette che trovo più simpatiche si trova in “101 Storie Zen”.
Un uomo che camminava per un campo s’imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo.
La tigre lo fiutava dall’alto.
Tremando l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo.
Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite.
L’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola.
Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altro spiccò la fragola.
Com’era dolce!
Non so cosa menti analitiche (come i due lettori più assidui di questo Blog, Vic e PG), possano pensare leggendo questo racconto. Forse colgono un messaggio consolatorio tipo: tanto, se si deve morire, gustiamoci almeno la fragola. Sono curioso, spero me lo raccontino. Per chi ha avuto qualche esposizione allo Zen il racconto significa che quel momento di totale assorbimento nel presente è l’unico traguardo che conti. Non è in relazione con l’inevitabile morte che sembra debba seguirlo, potrebbe essere il modo di focalizzare le energie per trovare una soluzione.
La meditazione, lo stare seduti escludendo mentalmente il mondo e concentrandosi sulla propria attività mentale, costituisce generalmente la pratica comune anche degli adepti dello Zen. Da qualcuno è ritenuta il modo per raggiungere questo stato di illuminazione. Illuminazione è una parola abusata, ormai. Io la definirei semplicemente l’aver fatto un po’ pace col proprio inconscio. Un po’ come col cane di cui parlavo in Walking The Dog. Caro inconscio, io mi fido un po’ di più delle tue decisioni, tu mi dai un po’ più visibilità delle pulsioni con cui cerchi di controllarmi. Non so se si capisca qualcosa, se non si capisce è perché è Zen: lo capisce solo chi l’ha provato.
Immagino che da parte dei praticanti Zen la meditazione, più che un mezzo per arrivarci, sia un modo di celebrare l’illuminazione. L’essere così convinti, così felici, di questa conquista da permettersi, per lunghi periodi, di non fare assolutamente niente che godersi la cosa. Ma lo Zen non si limita a quel momento: è davvero nel camminare, mangiare, disporre fiori e sassi o versare il tè…
… e aiutare altri a raggiungere quel traguardo, magari scrivendo un Blog.
Aspettavo questo tuo articolo, Vins.
Lo sai; anzi quasi te l’ho proprio chiesto io in whatsapp, raccontandoti la mia recente …esperienza di meditazione!!
Infatti mantengo questa pagina aperta da giorni, facendo compulsivamente F5.
Altroché ZEN!! 🙂
Comunque, della mia esperienza (un po’ deludente…) te ne ho già parlato.
Rileggendomi poi nei commenti che ti avevo postato qui 5 anni fa mi sono ritrovato completamente: cioè le mie perplessità di allora, quando ero completamente a digiuno della pratica meditativa, me le sono ritrovate confermate adesso.
“E’ perché sei ancora a digiuno” dirai tu. Oppure “perché hai una intolleranza alimentare che ti ha reso refrattario”.
Molto probabilmente sì.
Ma non prenderla a male!
Ricorda: abbiamo sempre in comune molto più quanto ci unisce di quanto ci divide.
Riguardo questo tuo post, ti dico una cosa che ho pensato subito:
eh no! l’arte di non-sbattere-il-portone non è Zen!
Secondo me è tutt’altro: è concentrazione volontaria, è analisi, è studio, è tecnica, è allenamento, è fisica,… insomma è pieno e consapevole utilizzo delle proprie facoltà mentali e fisiche.
Tutto il contrario di “svuotare la mente, non pensare a niente, lasciarsi permeare dal nulla, aprire l’inconscio” che mi hanno detto nell’incontro divulgativo a cui ho partecipato.
Ti dirò: sono sicuro che a quelle olimpiadi io ti batterei.
Credimi.
E’ da anni che mi alleno con la mia porta di ingresso; al punto da rimproverare (e farmi mandare a quel paese) il resto dei miei familiari che invece la chiudono sbattendola “perché così si chiude meglio”.
Loro sì che sono Zen! Non pensano a quello che stanno facendo 🙂
Ma non hai risposto alla domanda: come interpreti il racconto della fragola ?
Perché? Era da interpretare?
Strano che tu mi chieda di interpretare (=analizzare e dedurre un significato) una storiella simpatica, ok, ma come tante che girano nei meme su Instagram o nei baci perugina.
Ti posso comunque dire i miei pensieri suscitati da quella lettura.
Sono vari, a diversi livelli di impegno mentale che posso porre.
1. Simpatia – si legge bene, scorre fluidamente, visualizzo immagini chiare e semplici.
2. Divertimento – fa sorridere, mi vien da pensare a Will Coyote che mentre precipita saluta con la mano oppure mentre gli cade un masso in testa apre l’ombrellino.
3. Assurdità – ma come? mentre sta per morire pensa alla fragola?
4. Stupidità – possibile che non cerchi un altro modo per salvarsi?
5. Analisi – cosa lo ha portato in quella situazione? a quali conseguenze va incontro, nel best case e nel worst case?
Insomma, non so se la mia mente è analitica, però in questo momento penso:
se ti trovassi (per magia) tu Vins in quella situazione in questo momento, che faresti? coglieresti la fragola?
se invece mi ritrovassi io (per magia, …assunto che non abbia potuto fare nulla prima per evitarlo!), io analizzerei la situazione, e magari troverei un appoggio per un piede, un appiglio migliore fra le rocce, un anfratto per ripararmi; oppure al limite valuterei l’altezza del dirupo e mi lancerei sulla testa della seconda tigre, stordendola e riuscendo a scappare.
Sai mai! nei film succede! 🙂
…ed anche nelle storielle su internet
Vedo che abbiamo ancora molto da lavorare 😀
Non definirei affatto la “Chiusura del portone senza sbattere” un’arte: è un’azione che, volendo, tutti possono imparare, purché si abbia pazienza e si sia determinati a raggiungere lo scopo. Ripetendo, passo dopo passo, gli stessi gesti che portano al risultato ottimale, adattandosi di volta in volta alle condizioni meteo del momento, si assimila quel che serve e, poi, lo si fa in modo automatico, senza troppi calcoli. Non sono indispensabili calcoli precisi e complicati, è sufficiente un approccio empirico e continuativo. La tecnica, per quanto complicata, si può apprendere mentre l’arte … non credo proprio!
Non so se davvero ho una mente analitica: da una parte mi piacerebbe ma, dall’altra, la vedo un po’ come una restrizione ai confini della fantasia, una preclusione a mondi che si potrebbero invece maglio esplorare grazie al pensiero intuitivo. Mi consola supporre che i due approcci non debbano per forza rivelarsi antitetici ed auto esclusivi ma che, in qualche modo, possano convivere e prosperare nella capoccia-mente di qualche persona. Boh …
Chissà se è analitica l’associazione quasi subitanea che mi è venuta in mente leggendo la “favoletta” zen della fragola, prima ancora di scoprire che ne chiedevi esplicitamente un commento. Ho pensato ad una piuttosto nota poesia haiku che ho incrociato molti anni fa, non so più dove, e che mi è rimasta impressa nella memoria fino ad oggi, forse perché è composta da pochissime parole, dieci soltanto:
Il tetto si è bruciato
ora
posso vedere la luna
La relazione mi sembra evidente: esiste sempre un diverso modo di interpretare ciò che ci succede che, partendo dal negativo, mostra almeno un aspetto positivo da apprezzare. Aggiungo ancora la mia profonda convinzione (sarà anche questo un approccio analitico?!?) che spesso sono le “sliding doors” aperte o chiuse dal caso che determinano cosa siamo diventati …
Per inciso, a partire da quel lontano momento, mi sono appassionato alle composizioni haiku che ritengo raggiungano uno dei più significativi obiettivi della poesia: un significato spesso profondo ottenuto con il massimo della sintesi!
Bello l’haiku! Sì, completa meravigliosamente la favola della fragola.