Ho appena finito di ascoltare l’audiolibro di “21 lezioni per il XXI secolo” di Yuval Noah Harari. L’ho trovato molto bello e ho voglia di parlarne. Ringrazio di cuore Antonio per la segnalazione.
Il libro
È un racconto del mondo com’è ora, dei problemi che ha, e di ciò che li ha generati, dell’evoluzione, delle forze che lo stanno cambiando, inclusi i pericoli che corriamo per i prossimi decenni.
I miti
Parla soprattutto di narrazioni. Le storie che hanno plasmato la nostra civiltà. Invenzioni che parlano di cose inesistenti, ma che hanno la capacità di unire le persone in un sogno comune. Storie come il fascismo o il comunismo, ormai cassati dalla storia. E storie che ancora sopravvivono, come il liberalismo, le nazioni o le religioni.
Il libro è, per buona parte, una critica a questi miti residui dell’umanità. Critica composta e avvincente, che cerca di aprirci gli occhi sui pericoli che corriamo procedendo con una visione annebbiata, mentre gravi pericoli sono all’orizzonte.
Le pazzie
L’umanità prende spesso decisioni incomprensibili. Il terrorismo, che temiamo più di quanto dovremmo, visti i danni molto limitati che produce in termini di vite umane, e la guerra che, a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, non ha più nessun potenziale vantaggio per chi la intraprende.
I pericoli dell’evoluzione tecnologica
Il grosso pericolo da cui Harari ci mette in guardia è connesso all’evoluzione tecnologica. L’evolversi delle tecnologie informatiche e biotecnologiche, l’Intelligenza Artificiale e la manipolazione genetica, aprono scenari in cui la differenza tra classi sociali rischia di esacerbarsi. L’IA, secondo l’autore, sfrutterà la scarsa capacità degli esseri umani di comprendere se stessi e gli altri per diventare il nodo in cui vengono prese tutte le decisioni, ridisegnando la mappa del potere. L’AI sarà aiutata in questo dal diffondersi di sensori biologici che capiranno l’essere umano meglio di quanto lui stesso o altri esperti possano fare.
Democrazia
Il concetto di democrazia è oggi basato sull’idea che le sensazioni degli individui, nel loro insieme, siano in grado di prendere le decisioni migliori. Cosa accadrà quando l’IA conoscerà gli individui meglio di loro stessi e dimostrerà di poter fare meglio di noi nel pilotare le nostre scelte ?
È molto interessante la descrizione del processo che porterà a questo. Processo ineluttabile e già in atto. Le biotecnologie permetteranno la creazione di umani di categoria avanzata, che non si ammaleranno, che avranno una aspettativa di vita più lunga, capacità cognitive, sensoriali e motorie superiori. È facile prevedere che questi miglioramenti saranno esclusivo appannaggio dei ricchi. I detentori delle infrastrutture a supporto dell’IA saranno i nuovi padroni del mondo. Senza contare il rischio che le macchine stesse prendano il sopravvento.
Il concetto di uguaglianza tra esseri umani terrà ancora quando alcuni di noi avranno oggettivamente capacità cognitive superiori ?
Occupazione
In questo percorso la maggior parte dei mestieri umani scomparirà, perché le macchine sapranno fare meglio degli umani quasi tutto, compresi i lavori basati sulla creatività, come comporre musica o scrivere romanzi. L’umanità dovrà affrontare crisi occupazionali senza precedenti, e ripensare, di conseguenza, tutti i processi e gli equilibri economici. La necessità di leggi che impongano un reddito universale svincolato dal lavoro si scontrerà con la necessità di tassare pesantemente i pochi detentori del potere, con inevitabili scontri in cui le classi povere saranno disarmate.
La formazione e la meditazione
E come possono gli esseri umani prepararsi a questi cambiamenti ? Cosa dovrebbero studiare i giovani, ad esempio, per essere pronti per i pochi lavori disponibili domani ? La risposta di Harari è in qualche modo disarmante: non possiamo saperlo.
Come linee guida di fondo suggerisce ai giovani di non fidarsi degli adulti, perché la loro esperienza diventa sempre più inutile in questo nuovo mondo. Suggerisce anche di non fidarsi della tecnologia, perché si rischia di diventarne schiavi. L’unica cosa su cui ha senso investire è sulla conoscenza di se stessi. In quest’ottica è importante l’ultimo capitolo del libro, che parla della meditazione.
Commento
Delle cose che dice Harari mi lascia perplesso anzitutto l’affermare che le sensazioni siano un semplice calcolo biochimico. La scienza non può affermare una cosa del genere. La scienza, finché non sarà in grado di costruire un cervello funzionante, finché non sarà in grado di mettere qualcosa in provetta e farne uscire un’intelligenza indipendente, potrà solo dire di aver capito qualche frammento, come un medico del Medioevo che dissezionava un cadavere. Non siamo molto distanti da lì. Conosciamo qualche dettaglio in più ma non abbiamo la visione completa. Personalmente non credo che la scienza ce l’avrà mai.
Continua a piacermi di più l’idea che il cervello sia una sorta di radio, che comunica con un’intelligenza esterna, non fisica. La mia personale convinzione è che la vita e l’intelligenza esistano su un piano diverso da atomi e molecole.
Altro punto che ho trovato disturbante é la critica alle religioni. Ha ragione secondo me, sul fatto che siano superate, che ormai facciano più danni che altro etc, ma buttando via la spiritualità assieme alle religioni si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca.
Tolta la spiritualità resta un vuoto incolmabile. La spiritualità è una necessità dell’essere umano (in varia misura, magari). Questa mancanza di senso non può essere colmata in modo razionale, né scienza, né filosofia, né psicologia possono farlo.
L’idea di base dell’autore sulla religione
- Una cosa non vera che viene creduta da mille persone per un mese è una notizia falsa, una cosa non vera che viene creduta da un miliardo di persone per mille anni è una religione
- La grande domanda che gli esseri umani dovrebbero farsi non è “qual’è il senso della vita ?” bensì “come si esce dalla condizione di sofferenza ?”
Perché è una visione troppo limitata
Sul punto 1 sono d’accordo, ma non sul 2.
Sofferenza
Siamo sicuri che la sofferenza sia una cosa sbagliata ? Una cosa da evitare a tutti i costi ?
La sofferenza e l’infelicità, come il piacere e la gioia sono semplicemente sensori di cui l’evoluzione ci ha dotato per farci muovere in una certa direzione. Il dolore e il piacere, che condividiamo con gli organismi più elementari riguardano i bisogni fondamentali, nostri o della specie a cui apparteniamo.
La tristezza e la gioia sono propri di organismi più progrediti, ma sono sensori anch’essi. Ci dicono se le ultime scelte che abbiamo fatto hanno avuto un risultato per lo più positivo (in questo caso la sensazione di felicità ci dice semplicemente “ok, continua così”) o per lo più negativi (e in questo caso la tristezza ci avverte che c’è qualcosa di fondo da cambiare, l’ambiente, le relazioni, il nostro modo di pensare/operare).
La ricerca della felicità in se stessa è una sciocchezza. Quando raggiungiamo una sensazione di gioia essa è per definizione effimera, perché riguarda il passato. Ci dice solo come siamo andati ultimamente. Se ci fermiamo lì, se vogliamo perpetuarla, si trasforma immediatamente in noia, che è il modo dei nostri sensori di dirci che dobbiamo muoverci, esplorare altro.
Pianificare la ricerca della felicità è una cosa assurda. Pianificare è ambito della razionalità, che è la parte più stupida della nostra mente. La razionalità è nata in funzione del linguaggio, è uno strumento di comunicazione, non serve a prendere decisioni corrette.
I limiti di una visione esclusivamente razionale
La razionalità, la logica, sa solo mettere in relazione le conoscenze che abbiamo, che sono infinitamente limitate rispetto all’insieme delle forze che influenzano le nostre vite.
Di fatto le nostre decisioni vengono prese ad un livello molto più profondo, un livello di cui, spesso, non ci rendiamo nemmeno conto.
Harari guarda a cose come le religioni, la spiritualità, la meditazione, con una mente razionale e, semplicemente non le capisce.
Il fallimento delle religioni
Tutto quello che Harari dice è vero, innegabile. Le religioni sono state, spesso, più un male che un bene. Probabilmente perché i loro stessi fautori non ne hanno capito il senso.
Il rischio a cui tutte le religioni sono state esposte (fallendo miseramente la prova) è stato quello di pensare, ad un certo punto, di aver capito, e, di conseguenza, di voler diffondere verso altri questa scoperta.
Ma il diffondere, il fare proseliti, anche quando sia scevro (e non lo è mai) da ricerca di potere o ricchezza, è, spesso, un’operazione basata sul linguaggio, sulla razionalità.
La conoscenza spirituale è per definizione poco chiara, piena di dubbi. Per qualche verso consiste proprio nella capacità di accettare il dubbio, accettare l’impossibilità di capire. Non può essere trasferita ad altri semplicemente con la parola. Se tento di codificare quella conoscenza in modo che sia raccontabile non posso che inventare narrazioni, favole. E non posso che dividere il mondo in amici (i fedeli, quelli che accettano le mie favole) e nemici (gli infedeli, quelli che le rifiutano), e magari prendere le armi contro i secondi. E tutto questo indipendentemente dal fatto che l’idea originaria contenesse o meno qualcosa di valido.
Ma la spiritualità non è quello. Se bolliamo tutta l’elaborazione non razionale come sciocchezza, e le nostre sensazioni come elaborazione biochimica, che magari oggi non comprendiamo, ma che la scienza riuscirà presto a chiarire, creiamo un vuoto incolmabile, ci tagliamo le braccia perché non abbiamo capito a cosa servono.
La spiritualità riguarda certo il dolore e la tristezza, come il piacere e la gioia, ma non per annullare i primi in favore dei secondi. Riguarda la capacità di rendere più sensibili questi e altri sensori e di integrarne le indicazioni. Sì, abbiamo anche altri sensori. Il senso del “significato globale”, che Harari liquida frettolosamente, è lì, forse sviluppato in misura differente tra le varie persone.
La meditazione
Il libro sfugge, in parte, a queste critiche dedicando l’ultimo capitolo alla meditazione. Un capitolo molto bello, tra l’altro.
La butta lì, come racconto di un’esperienza personale che ha trovato vantaggiosa.
Giustamente fa notare che la meditazione, pur essendo nata in seno delle religioni non prevede nessun dogma o atto di fede, ma è un semplice strumento che abbiamo a disposizione per migliorare le nostre vite, la nostra capacità di attenzione. Un allenamento a usare meglio la mente.
Purtroppo, anche qui, nel tentativo di scrostare la pratica meditativa dal retaggio religioso finisce per togliere un po’ troppo. C’è uno sforzo di rendere la meditazione un fatto razionale, e credo sia decisamente sbagliato. Indipendentemente dal fatto che un Dio esista o meno, e dal fatto che questa pratica possa metterci in comunicazione con lui, c’è molto, molto che non comprendiamo, su cui la meditazione getta un po’ di luce. Forse questo molto riguarda la comunicazione con gli altri esseri viventi, forse col passato della nostra specie. Forse sono anticipazioni confuse di cose su cui un giorno la scienza saprà fare piena luce.
In ogni caso io non vorrei perdermi tutto questo.
Non capiremo mai il senso della vita, ma il desiderio di capire ce l’abbiamo, e proprio quello dovrebbe diventare la nostra bussola.
Qualche nota:
1) Non credo che, a meno di errori sempre possibili anzi, addirittura, inevitabili, la tecnologia possa far diventare schiavi gli uomini – tutti gli uomini, intendo –, per il semplice fatto che essa è e sarà il prodotto delle capacità di una parte degli stessi uomini. Sono convinto che l’AI non determinerà mai la perdita del controllo del potere, trasformando qualcosa d’altro che non faccia più parte dell’umanità in un’entità più “alta” e più “abile”. Il pericolo reale sarà che alcune classi dirigenti, utilizzeranno, invece, i nuovi strumenti per dominare, ancor più di oggi, le grandi masse degli “altri”, di coloro che tali strumenti non conoscono: una nuova e terrificante oligarchia di pochi sui molti. È sbagliato, dunque, affermare che i giovani non devono fidarsi della tecnologia mentre è opportuno che non si fidino di chi detiene la conoscenza della tecnologia e, per evitarne i pericoli, la devono frequentare, analizzare ed utilizzare. «Ciò che manca ai miei – scriveva Don Milani – è il dominio della parola …»; ciò che potrebbe mancare ai giovani è il dominio della tecnologia.
2) Allo stesso modo, la spiritualità e la religione vengono spesso confuse tra loro mentre, ancora una volta, la prima è stata uno strumento nelle mani della seconda per esercitare il potere grazie “all’invenzione” di strutture, gerarchie e riti noti ed utilizzati da una classe di “eletti” per esercitare, come sempre nella Storia, il potere di alcuni sugli altri.
3) La sofferenza non è affatto una cosa sbagliata, né da evitare a tutti i costi per il semplice motivo che fa inevitabilmente parte della vita di noi tutti. Ciò che serve, però, è imparare a superare la sofferenza, limitandola nel tempo e nelle conseguenze in modo che diventi anch’essa effimera proprio come una sensazione di gioia.
Sui punti 2 e 3 niente da dire, ma sul primo non sarei così sicuro.
Il fatto è che il tipo di tecnologia che stiamo sviluppando non è facilmente dominabile. Le reti neurali addestrate dai big data creano una conoscenza che per gli umani non è più comprensibile. All’aumentare dei dati a disposizione diventano sempre più precise. Semplicemente funzionano, ma nessun umano sa perché, compresi i programmatori che hanno creato il sistema. Se addestro una rete neurale a riconoscere foto di cani fornendole centinaia di migliaia di foto con accluse indicazioni che descrivano il contenuto di ogni foto, alla fine del processo questa rete saprà riconoscere autonomamente i cani, ma nessun umano potrà imparare, ispezionando la configurazione della rete, a riconoscere meglio un cane.
Oggi questa tecnologia viene impiegata, sulla base principalmente dei dati relativi all’interazione degli umani con il web, per creare pubblicità mirate agli interessi individuali. Già oggi viene usata per pilotare scelte elettorali, e benché la cosa sia ancora considerata sbagliata, sospetta, sarà inevitabile che si diffonda, il potere sta già migrando con propulsione tecnologica.
Con l’aumentare dei sensori indossati dalle persone questa conoscenza delle persone da parte della IA sarà sempre più precisa.
Oggi il mio telefono sa farmi un ECG e misura l’ossigenazione del sangue, domani saprà riconoscere istantanee variazioni di temperatura e sudorazione, gli occhiali AR vedranno i miei spostamenti oculari, i sensori di onde cerebrali che indosserò per muovere il cursore al posto di usare il mouse sapranno capire molte mie emozioni e sapranno correlarle al film che sto guardando, alla musica che sto ascoltando, alla notizia che sto leggendo. L’IA saprà riconoscere le mie reazioni e il mio stato di salute meglio del mio medico.
Sarà inevitabile che questa profilazione, precisa e istantanea diventi appetibile anzitutto alle aziende. Un’assicurazione potrà indurti a fornirle questi dati in cambio di sconti, inizialmente, e quando tutte lo faranno, semplicemente rifiutandosi di assicurarti se non lo fai (già oggi succede coi GPS sulle auto).
Le aziende potranno rifiutarsi di assumerti se non ti rendi trasparente a questa indagine. Di fatto saremo obbligati a fornirli per vivere.
Il passo successivo, quello politico, è un attimo. Da questi dati sarà possibile dedurre le scelte migliori per legiferare e per ottenere consenso. I politici le useranno ciecamente.
Di fatto il mondo sarà nelle mani di in intelligenza che nessun umano può capire e, che solo per poco tempo ancora, qualche umano potrà manipolare.
Le aziende, per ora, sono governate da esseri umani così come umani – si fa per dire! – sono i politici. Decidere che le prime vengano gestite dalle macchine e i secondi pure sarà una scelta fatta da un’oligarchia di essere umani: sono loro il pericolo reale! A meno che, come in “2001: Odissea nello spazio”, HAL non tenti di prendere il controllo: non mi convince affatto.